Covid-19 in Sicilia: cosa resta della prima fase Oltre 50 giorni a casa per combattere il virus

Voltare pagina senza dimenticare gli oltre 50 giorni di lockdown. Quella che inizia ufficialmente oggi è la fase 2 della pandemia in Sicilia. Un giro di boa che si fonda sulla certezza che il Covid-19 non è scomparso. E che la curva degli infetti potrebbe tornare pericolosamente a salire. La fase 1 si è chiusa in Sicilia con 3240 contagiati e 242 morti. Freddi numeri che nascondo storie, spesso rimaste anonime, e tragedie. Ma anche inchieste giudiziarie, presunti casi di malasanità e paradossi che riassumiamo nella nostra linea del tempo grafica. Della fase 1 ricorderemo la fuga dal Nord di migliaia di siciliani e lo sforzo di medici e infermieri. Costretti a lavorare senza le necessarie protezioni e in tanti casi passati dalle corsie ai letti d’ospedale. Non dimenticheremo neppure teatrini e teatranti, sindaci e politici. Le urla nei salotti tv e i tentativi di trasformare l’emergenza in una ricerca di consenso da campagna elettorale anticipata. Una comunicazione unidirezionale che non ha mai dato la possibilità ai giornalisti, come nel caso della Regione Siciliana, di fare domande in una conferenza stampa. Via streaming, è chiaro. 

LA TURISTA BERGAMASCA
Fino a quel momento il Covid-19 era solo un fantasma lontano, la Sicilia stava a guardare – non senza una certa apprensione – la pandemia che prendeva forma in Lombardia, e ad ascoltare le notizie dalla Cina. Almeno fino al 25 febbraio, quando proprio dal nord arriva a Palermo il primo caso positivo. Si tratta di una turista bergamasca in vacanza in Sicilia da un paio di giorni. La donna non presenta particolari malesseri e le sue condizioni rimarranno sempre piuttosto buone lungo tutto il periodo della degenza all’ospedale Cervello. Ma la turista fa parte di una comitiva di 35 persone: scatta la prima corsa contro il tempo, con i vacanzieri lombardi in isolamento forzato nell’hotel in cui alloggiavano, in attesa dei risultati dei tamponi e di ricostruire ogni loro movimento. Anche buona parte del personale dell’albergo viene sottoposto alle analisi. Alla fine i positivi, oltre alla donna, saranno due: il marito della signora e un amico. Entrambi asintomatici, hanno trascorso la quarantena in hotel.

IL VIRUS ARRIVA ALL’UNIVERSITÀ
Il contagio durante la fase è stato spesso affiancato alla parola
cluster. Termine utilizzato per identificare casi di contagio correlati nel tempo e nello stesso spazio. Come avvenuto al dipartimento di Agraria all’università di Catania. Il 3 marzo MeridioNews rende pubblica la notizia di tre professori affetti da Sars-CoV2. La sede del dipartimento viene chiusa e si scopre che i docenti hanno contratto il virus durante una cena sociale seguita a un convegno, tenutosi a Udine, riservato agli agronomi. Il 7 marzo arriva l’esito di altri tamponi: il contagio si allarga coinvolgendo uno studente, alcuni dipendenti dell’ateneo e anche altri professori, alcuni dei quali finiti ricoverati. Passate appena 48 ore – è il 9 marzo – c’è l’annuncio a rete unificate del presidente del Consiglio Giuseppe Conte: «Tutta l’Italia sarà zona protetta». Inizia ufficialmente il lockdown

L’ISOLA CHE NON C’È
Il 16 marzo la ministra dei Trasporti Paola De Micheli, con il decreto Sicilia, isola la regione lasciando pochi collegamenti per le necessità. Dal Nord, in due settimane, sono già rientrate 31mila persone. Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. Le persone continuano a sbarcare, anche senza autorizzazione. I controlli sullo Stretto di Messina sono carenti e il presidente della Regione Nello Musumeci invoca l’utilizzo dell’esercito. Il primo uomo a scendere in campo agli imbarcaderi è, però, il sindaco di Messina Cateno De Luca. «Vaffanculo, Viminale», grida, accusando il ministero di non avere controllato i flussi verso la Sicilia. Scatta la denuncia della ministra dell’Interno Luciana Lamorgese per vilipendio. Questo è solo l’inizio: De Luca annuncia la chiusura dello Stretto e firma un’ordinanza sindacale che dispone le prenotazioni online per oltrepassarlo. Un’iniziativa individuale che è vietata dal decreto Conte. Arriva il parere negativo del Consiglio di Stato: l’ordinanza va annullata e così fa il Consiglio dei ministri. «Mi vogliono politicamente ammazzare a colpi di lupara di Stato», è la reazione del sindaco.

OSPEDALI DIVENTANO LUOGHI DI CONTAGIO
Da est a ovest, da nord a sud. In ogni angolo dell’isola, in questi 54 giorni di «tutti a casa», si sono registrati contagi all’interno degli ospedali. Emblematico il caso – il
18 marzo – del reparto di Neurologia dell’ospedale Cannizzaro di Catania. Un paziente risulta positivo al Covid-19 dopo una notte di ricovero, viene trasferito in Malattie infettive e scattano i tamponi per pazienti, medici e infermieri del reparto. I contagiati sono in tutto 20. Altri casi di positività passano pure per il Policlinico del capoluogo etneo e i Covid-center di Caltagirone e Biancavilla. Nel primo nosocomio il virus colpisce il primario di Malattie infettive. Nell’altra struttura, pur non essendoci pazienti Covid, si infettano undici sanitari e una degente di Ostetricia.

IL FOCOLAIO ALL’OASI DI TROINA
È il 19 marzo quando da Troina (Enna) arriva la notizia: quattro disabili ricoverati nel Villaggio Cristo Redentore sono positivi al Covid-19. «Abbiamo attivato tutte le procedure previste», annuncia il sindaco Fabio Venezia. Ma la preoccupazione è evidente: l’ospedale può diventare terreno fertile per la propagazione del virus, considerato che ospita pazienti con disabilità psichiche. Soggetti che necessitano di contatto fisico e che fanno difficoltà a comprendere i rischi connessi all’epidemia. Le previsioni vengono confermate: il coronavirus, forse in principio portato da un infermiere, nel giro di pochi giorni si diffonde a macchia d’olio. Colpisce tanto i pazienti quanto il personale. I numeri salgono e il 29 marzo la Regione dichiara Troina zona rossa. Lo stesso giorno il primo cittadino troinese dichiara di temere essere stato contagiato nel corso di alcune riunioni all’Oasi. Anche in questo caso arriva la conferma della positività. Ad oggi dentro l’Oasi ci sono stati 177 casi di Covid-19 e cinque decessi. Oltre cento i disabili infettati.

IL FOCOLAIO NELLA CASA PER ANZIANI DI VILLAFRATI
La grande paura nel Palermitano arriva il 22 marzo, quando viene scovato un focolaio in una Rsa in cui alloggiano 60 anziani. In un primo momento i positivi sono 16 tra pazienti e personale, ma la sensazione da subito è che il numero sia destinato a salire. Si inizia a dare la caccia al potenziale untore: all’inizio viene individuato nella nipote di un degente tornata dal nord. Una storia presto smentita, visto che la struttura è stata chiusa al pubblico diversi giorni prima. Il 24 marzo i positivi sono già saliti a 62 e il comune di Villafrati diventa ufficialmente zona rossa. La Rsa coinvolta dà lavoro a 70 persone provenienti da tutti i paesi del circondario. Il virus comincia così a estendersi su buona parte della provincia, con tanti piccoli centri che iniziano ad annotare i primi casi.

IL CASO SIRACUSA 
Il 23 marzo muore Calogero Rizzuto, il presidente del parco archeologico di Siracusa. Era positivo al Covid-19. Nove giorni prima il deputato del Pd Nello Dipasquale, suo amico di lunga data, aveva presentato una denuncia per presunti ritardi nelle cure. La procura apre un’inchiesta. Due giorni dopo Rizzuto, muore anche una sua collaboratrice, Silvana Ruggeri. Cominciano a registrarsi i primi contagi di operatori sanitari. Numeri che arriveranno fino al 40 per cento del totale in provincia. Diventa virale il video dell’infermiere mascherato che, dalla tenda del pre-triage dell’ospedale Umberto I, denuncia alcune criticità. L’Asp lo definisce «un volgare e scomposto fake» e sostiene che non sarebbe un dipendente dell’azienda. E invece, di lì a poco, si scoprirà che è Marco Salvo, un infermiere del Pronto soccorso anche lui affetto da coronavirus. I sindacati lamentano il rischio di promiscuità e mancanza di tamponi al personale, l’Asp non risponde. Il 30 marzo arriva il Covid-team della Regione a supporto dell’azienda sanitaria. Una rivoluzione che traccia un prima e un dopo, visibile in una relazione presentata la stessa domenica in cui il sindaco Francesco Italia riceve una telefonata di papa Francesco.

SBARCHI E QUARANTENA IN HOTSPOT
La corsa al contenimento del virus è stata segnata dall’intraprendenza dei governatori delle Regioni, spesso in disaccordo con quanto deciso da Roma. Dove però tutti si sono ritrovati compatti è stato nel giudicare i flussi migratori un problema in più per l’Italia. I barconi, un possibile veicolo di contagi. Ciò ha portato il governo Conte a dichiarare, l’8 aprile, che i porti del Paese non sono più da ritene posti sicuri. La decisione ha tagliato fuori le Ong. I migranti però sono arrivati lo stesso tramite quegli sbarchi autonomi che, più volte, Nello Musumeci ha chiesto di fermare. Sul punto si è registrata una divergenza tra Viminale e Regione: dal primo è arrivata l’indicazione di usare gli hotspot come luoghi in cui fare trascorrere la quarantena obbligatoria, mentre la seconda ha continuato a spingere affinché i migranti vengano confinati a bordo di navi. In Sicilia ha allarmato il caso di un migrante che ha accusato sintomi da Covid, durante il trasferimento da Porto Empedocle a Pozzallo. Il ragazzo, risultato positivo a un primo tampone e negativo a un secondo, è stato portato in un centro d’accoglienza. È di questi giorni, invece, la notizia degli atti di autolesionismo all’interno dell’hotspot di Lampedusa dove, da quasi un mese, oltre un centinaio di migranti attende di essere trasferito.   

SANTAPAOLA E LE RIVOLTE NELLE CARCERI
I primi 15 giorni di marzo coincidono con una tensione crescente all’interno dei penitenziari. Lo spartito è uguale in tutta Italia, con i detenuti in rivolta. Nell’isola i casi più eclatanti a 
Cavadonna (Siracusa), Pagliarelli e Ucciardone (Palermo) e Cerulli (Trapani). Nel mirino c’è l’inadeguatezza delle strutture ad affrontare eventuali contagi, ma si fa largo l’ipotesi di una regia mafiosa. L’allarme sembra rientrato, ma è solo per poco. Una nota – 21 marzo – del Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria inviata ai direttori dei penitenziari per monitorare i detenuti a rischio contagio accende i riflettori sulle scarcerazioni. Alcune avvenute altre solo ipotizzate: come le voci circolate il 21 aprile sul superboss di Cosa nostra al 41bis Nitto Santapaola. Alla fine, però, il capomafia resta in cella.


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