Cronaca

La tiktoker Lidia Arena racconta la latitanza e l’arresto del padre, boss al 41bis: «È il mio eroe»

«Mio padre è il mio eroe. E non mi interessa se mi giudicate male perché io amo mio papà follemente». La dichiarazione d’amore in diretta durante una seguitissima live serale su TikTok (che ha toccato anche punte da oltre 40mila spettatori) è della ormai nota tiktoker catanese Lidia Arena. Il destinatario è suo padre: il boss ergastolano Giovani Arena. È lei a raccontare ai suoi numerosi follower il momento dell’arresto del genitore che per 18 anni «è stato un latitante a casa, ma per loro era lontano». Una frase a cui la donna, oggi 37enne, fa seguire una finta risata registrata. In effetti Giovanni Arena, dopo essere sfuggito all’operazione antimafia Orsa maggiore contro la famiglia di Cosa nostra dei Santapaola nel dicembre del 1993, diventa un ricercato per associazione mafiosa, detenzione di armi, traffico di droga e per l’omicidio di Maurizio Romeo – detto Cavadduzzo – esponente del clan rivale dei Ferrera, commesso nel 1989 ad Aci Castello. Uno di quelli inseriti nell’elenco dell’epoca dei 30 latitanti più pericolosi d’Italia. Una lista in cui rimane per 18 anni, più o meno comodamente, rintanato in casa sua. «Non è più uscito – afferma la figlia – si affacciava solo al balcone». Quello del suo appartamento in uno stabile nel quartiere Librino di Catania, nei dintorni del palazzo di cemento, il fortino dello spaccio che sarebbe stato il centro di potere della famiglia Arena.

«Mio padre è stato latitante tanti anni – dice Lidia Arena in live sul social – Per quasi vent’anni ci fici stirare u coddu (ha fatto allungare il collo per la lunga attesa alle forze dell’ordine, ndr)». Dal dicembre del 1993 fino all’ottobre del 2011, quando è stato trovato nel nascondiglio che si era costruito in casa. «Quando lo hanno arrestato io era là – continua a raccontare la donna guardando dritta la telecamera del suo cellulare – Suonano alla porta ed entrano 50-60 poliziotti. Lui aveva un nascondiglio creato da lui dietro il letto con un pezzo di compensato e una corda che tirava. Perché – sottolinea fiera – mio padre era un genio». Ripercorre la scena delle ricerche nell’appartamento da parte degli agenti della squadra mobile di Catania che mettono a soqquadro la casa. «Io ero forte – prosegue nel racconto in soggettiva – ma quando hanno spostato l’armadio ho capito che erano venuti con l’intento di trovarlo, erano sicuri perché gli era arrivata una segnalazione». Del resto, negli anni, di irruzioni a casa ne avevano avute, anche una a settimana. «Quando mi sono resa conto che avevano capito, non sono riuscita più a parlare. Poi hanno spaccato quel pezzo di mobile e hanno cominciato a dire “Giovanni Arena sei in arresto“. A quel punto – ricorda Lidia Arena – ho iniziato a gridare: “Per favore, non fategli del male“. Non sapevano se era armato e potevano anche sparare». Non succede nulla di tutto questo perché Giovanni Arena si arrende e si limita a dire: «Questa volta siete stati bravi. Da vent’anni sono in questa casa». «E là – continua il racconto della figlia in diretta sui social – io me lo abbraccio perché capisco che è l’ultimo abbraccio». Qui la donna si commuove al punto che sposta la telecamera del cellulare che la inquadra per qualche secondo.

Quando lui viene arrestato, in carcere ci sono già i suoi quattro figli maggiori (Maurizio, arrestato con l’accusa di omicidio nel 1999; Agatino, catturato lo stesso anno e poi condannato per associazione mafiosa; Antonino, arrestato dopo due anni di latitanza e Massimiliano, accusato di rapina a mano armata e del tentato omicidio di un metronotte in servizio davanti alla guardia medica di Librino e anche lui catturato mentre era nascosto in un’intercapedine dopo una breve latitanza) e la moglie Loredana Agata Avitabile, considerata la zarina del palazzo di cemento. E anche lei, a un certo punto, diventa anonima protagonista della live su TikTok. «Mia mamma è innamorata di lui come il primo giorno e lo aspetta fino alla fine», dice Lidia Arena prima di scoprire che dietro uno dei nickname user si cela proprio sua madre che è stata spettatrice della diretta per tutto il tempo, commentando con piccole correzioni nel racconto che solo dall’interno della famiglia potevano arrivare. «Anche io, nel passato, non è che ero così brava ma non ho fatto male a nessuno», ammette la donna che, in effetti, nel 2012 è stata arrestata insieme alla sorella Agata (omonima della loro cugina cantante neomelodica poi diventata missionaria per Dio) per detenzione di armi e munizioni comuni e da guerra, ricettazione e detenzione di stupefacenti. Nel frattempo, anche i suoi due fratelli minori – Simone e Alessio erano finiti dietro le sbarre. «Più avanti parleremo dei miei fratelli», garantisce la donna ai suoi follower curiosi di conoscere le storie di tutti i componenti della famiglia Arena. Una delle famiglie mafiose che hanno fatto la storia di Cosa nostra a Catania.

Intanto, si va avanti nel racconto della biografia del padre – adesso detenuto nel carcere di massima sicurezza de L’Aquila (lo stesso dove è stato anche Matteo Messina Denaro, per intenderci) in regime di 41bis – a partire dai lunghi anni della latitanza iniziata quando lei aveva solo sette anni e finita che ne aveva già compiuti 25. «Mi sarei fatta l’ergastolo per nascondere mio padre», afferma Lidia Arena che fin dalla tenera età sarebbe stata messa alla prova. «Fin da piccola, io ho mantenuto questo segreto in silenzio. Anche quando a scuola, verso i dieci o dodici anni, mi facevano parlare con gli assistenti sociali o con poliziotti travestiti da insegnanti che mi chiedevano se vedessi mio padre. Io non parlavo». Un silenzio durato per 18 anni duranti i quali «ho pensato che sarebbe stato in eterno a casa. Quando lo hanno arrestato – aggiunge – mi è crollato il mondo». Di fronte alle continue domande che scorrono nel rullo dei follower, lei spesso risponde: «Il ricordo più bello che ho di mio padre è proprio lui come persona. È stato un padre amorevole che quando mi rimprovera ci rimaneva male e cercava poi subito di fare pace venendo ad abbracciarmi». Un gesto che, adesso, vedendo il genitore solo nei colloqui all’interno del carcere, è diventato un ricordo. Ma anche una speranza. «Non lo so se uscirà, non è una passeggiata ma io lo spero. Ancora di più, però, spero – conclude Lidia Arena – che gli cada il 41bis perché potrei abbracciarlo e non solo guardarlo dietro un vetro. Perché io so quanto vale un abbraccio di mio papà».

Marta Silvestre

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