Wurstel, tomato e cocaina: l’ascesa dei paninari diventati trafficanti. «Senza soldi non restiamo, non è vergogna lavorare»

Dal camion dei panini al traffico di droga. Affari d’oro e una scalata criminale che li avrebbe resi «molto forti, tanto da rifornire tutti i quartieri di Catania». La storia, raccontata anche attraverso le parole del collaboratore di giustizia Salvatore Castorina, è quella dei fratelli Vitale: Giuseppe detto Pinuccio, Fabio, Santo e Franco meglio noto come Ciccio. All’ombra dell’elefante, simbolo di Catania, sono conosciuti come «i paninari», per la storica gestione di un camion da parte del padre, Angelo Vitale, al posteggio numero due dello slargo di piazza Giovanni XXIII, davanti all’ingresso della stazione centrale del capoluogo etneo. I Vitale – escluso Vitale senior che non risulta indagato – sono finiti in carcere nei giorni scorsi nell’ambito dell’operazione Slot machine della guardia di finanza. Secondo i magistrati, sarebbero al vertice di un gruppo criminale che avrebbe agito all’ombra della cosca mafiosa dei Cappello-Bonaccorsi.

Anello di congiunzione fondamentale sarebbe stato Santo Aiello, cognato dei Vitale per avere sposato la sorella Francesca. Nonostante ai fratelli non venga contestata l’associazione mafiosa, sono diverse le intercettazioni in cui si fanno riferimenti a boss e al loro modo di fare, spesso ripercorso con un filo di malinconia quando i ricordi vanno al passato. Un quadro, fatto di conoscenze e legami, in cui emergerebbe lo «spessore criminale» dei Vitale e l’assoluta fedeltà del loro cognato. Ritenuto vicino al gruppo di Giovanni Pantellaro, ma pronto a tirarsi fuori dalla propria «squadra e a stare con voi», si legge in un’intercettazione riportata nelle carte dell’inchiesta. Aiello, per esempio, si sarebbe attivato per risolvere una controversia riguardante un debito tra i cognati e i fratelli Simone e Alessio Arena, figli dello storico capomafia attivo nel quartiere Librino, Giovanni. Una partita da 40 chili di marijuana, finita sequestrata a novembre del 2019, su cui gli Arena avrebbero vantato un credito. «Non esco nemmeno di casa – spiegava Aiello ai propri familiari – mi affaccio al balcone e tu… tu… tu, e finisce la guerra». Nonostante i sequestri, i fratelli non avrebbero perso la loro intraprendenza. «Ci vuole un po’ di grinta, altrimenti possiamo suicidarci alla punta del molo […] Alla fine siamo qui e stiamo passeggiando, il Signore lo abbiamo sempre presente. Poi noi senza soldi non possiamo rimanerci mai perché se ci siamo stancati ci mettiamo sopra il camion dei panini e guadagniamo soldi, che non è vergogna lavorare», dicevano.

«I Vitale non sono dichiarati con il clan Cappello – continua il collaboratore Castorina nel suo racconto – ma se hanno problemi si rivolgono a loro, per esempio quando ci sono crediti da recuperare». Il business principale sarebbe stato quello della droga con più canali di rifornimento per l’ingresso dello stupefacente a Catania. «Il fumo dall’Albania – racconta Castorina – poi acquistano in Calabria e hanno un aggancio a Roma […] Ormai sono molto forti e riforniscono tutti i quartieri di Catania». Dei Vitale parla anche Carmelo Liistro, l’ex autista del reggente Massimiliano Cappelo, diventato collaboratore di giustizia nel 2022. «Posso dire – spiega ai magistrati in un verbale contenuto negli atti dell’inchiesta Slot machine – che i fratelli Vitale sono tra i più importanti trafficanti di stupefacenti a Catania e provincia».

Nei giorni scorsi, i finanzieri hanno sequestrato il camion dei panini dei Vitale in piazza Giovanni XXIII. Il mezzo, secondo gli inquirenti, sarebbe stato utilizzato anche per i traffici illeciti. Un passaggio messo nero su bianco nelle carte dell’inchiesta è quello del 24 marzo del 2019, giorno in cui viene intercettata una telefonata tra l’indagato Paolo Messina e l’albanese Keci Erion. I due si fermano al camion e il primo prende una busta e rientra in macchina. Dentro, stando alla ricostruzione, ci sarebbero stati panini, acqua, coca cola e soldi. «Tale metodologia di consegna del denaro risultava ben rodata», scrivono gli inquirenti. Il 3 maggio del 2019, dopo una lunga serie di conteggi, Franco e Giuseppe Vitale avrebbero consegnato una «imprecisata somma di denaro» al padre Angelo, «incaricandolo di consegnarla a una persona non meglio specificata».

Stando alla ricostruzione degli investigatori, parte dei soldi della droga dei fratelli Vitale sarebbe stata reinvestita nella società di autonoleggio Floro srl, azienda specializzata nella compravendita di automobili tra Catania e Gravina, gestita da Vincenzo Florio ma intestata alla convivente dell’uomo. Nelle carte dell’inchiesta sono diverse le intercettazioni in cui Franco Vitale discute con l’uomo di entrate e uscite e delle gestione dell’autosalone. Giuseppe Vitale, invece, si sarebbe celato dietro il bar-gastronomia Caffè in piazza, a San Giovanni Galermo gestito dal consuocero Eugenio Pafumi. Attività pubblicizzata dal figlio di Vitale senza problemi attraverso Facebook e Instagram. «Esperti nel settore della panineria dal 1978, fondazione zio Angelo», si legge in un post. A non convincere gli inquirenti sono i costi dell’operazione, sostenuti, almeno sulla carta, da Pafumi. L’uomo non percepisce reddito dal 2017 al 2019 mentre nel 2020 dichiara appena 1200 euro, il tutto a fronte di un contratto d’affitto, stipulato nel 2019, per i locali del bar di 14mila euro l’anno, oltre alle spese per effettuare la ristrutturazione.


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