A Palazzolo Acreide i riti della Settimana Santa in Sicilia. «Volti e sguardi» tra spopolamento e restanza

Una mostra fotografica sui riti della Settimana Santa sull’Isola. Si intitola Cento Sicilie e verrà inaugurata sabato 5 aprile a Palazzolo Acreide, in provincia di Siracusa. La mostra ospiterà alcuni scatti di Salvo Alibrìo, fotografo che ogni anno, nei suoi viaggi, raccoglie immagini, volti ed emozioni da quei Comuni siciliani che hanno delle particolari tradizioni legate ai giorni che precedono la Pasqua. Cento Sicilie si terrà a Spazio San Sebastiano, un luogo di cultura e di rigenerazione in senso ampio gestito dalla cooperativa Mediblei. Ma Sara Curcio Raiti – guida turistica e giornalista che di Mediblei è la presidente – vuole subito riconoscere un merito, forse quello più grande. «La mostra di Salvo – dice a MeridioNews – nasce soprattutto dalla generosità di Stefania Sardo». Si tratta della persona che tiene aperto il cinema ereditato dal padre, l’unico rimasto a Palazzolo; cosa non facile, visto che parliamo di una comunità di circa ottomila persone soltanto.

«Noi non possiamo pagare tutte le mostre – spiega la presidente di Mediblei – quindi cerchiamo sempre fondi. Quella di Salvo non siamo riusciti a farla entrare nel programma del Comune, ma con grande coraggio e generosità Stefania Sardo ha voluto produrla, e questo glielo riconosceremo sempre». Sia quando si riferisce all’attività di Sardo sia quando parla del tema della mostra Cento Sicilie, Curcio Raiti parla di un concetto: la restanza. Ed è riuscendo a capire di cosa si tratta che si può comprendere meglio il senso delle attività di Mediblei e quello del lavoro che Alibrìo ha fatto per questa mostra. «Cento Sicilie è un viaggio sentimentale con la macchina fotografica al collo», dice Curcio Raiti al nostro giornale. Uno degli obiettivi di questo lavoro è mostrare «rituali di comunità che si compiono ancora, ma chissà per quanto, perché perfino la Resurrezione di Cristo deve fare i conti con la modernità e con lo spopolamento». Ed ecco il concetto di restanza. «Lo spopolamento delle aree interne non è una minaccia: ci siamo già dentro», dice la presidente di Mediblei. I riti che Alibrìo ha fotografato e che esporrà a Spazio San Sebastiano «appartengono alla Sicilia più ancestrale e antica, ma nelle piccole comunità abitano sempre più persone anziane, a cui spesso può anche mancare l’energia fisica per portare avanti processioni e funzioni. Dall’altra parte ci sono le nuove generazioni, che non hanno un legame sentimentale con queste tradizioni; o, meglio, questo legame si sta indebolendo».

Secondo Curcio Raiti, non è più come in passato, quando gli elementi della tradizione – religiosi o folkloristici – erano tratti culturali che si tramandavano da nonno a nipote o di padre in figlio, perché «ora manca un contesto umano e sociale legato a una civiltà contadina che ormai non c’è più. Adesso prevalgono le conoscenze scientifiche e una campagna iper-tecnologizzata – dice la presidente di Mediblei – Nelle campagne del periodo precedente l’unità d’Italia, invece, il rapporto col sacro era salvifico, visto che le persone non sapevano leggere né scrivere». Quello che Curcio Raiti si chiede è «per quanto tempo ancora assisteremo a queste liturgie». Secondo lei, «in questo Salvo è magnifico (lo chiama sempre per nome, perché «lo conosco da moltissimi anni», ndr), perché ha un grande desiderio di ricercare l’unicità, si sforza di cercare realtà che resistono». Curcio Raiti ci dice che Alibrìo non ha rivelato il nome di molti posti in cui è andato a fotografare, «così da tutelare paesi piccolissimi, nei quali si sente l’atmosfera reale e viva delle tradizioni: è andato alla ricerca di una Sicilia che non c’è più. Credo che lui sia come un bambino che non vuole crescere – prosegue – che non vuole lasciare andare alcune cose, per cui le ferma con la fotografia. È come se stesse disperatamente cercando di creare un posto sicuro per dei ricordi che diventeranno tali, di realizzare una memoria da consegnare e che non si perda del tutto. Perché purtroppo le aree interne muoiono e non sono mai state un’emergenza per la politica nazionale». Ma oltre alla voce di chi la mostra la sta organizzando, abbiamo sentito anche quella della persona che gli scatti li ha realizzati.

«Fotografare i riti della Settimana Santa in Sicilia è molto complicato, perché si concentrano tutti negli stessi giorni dell’anno e il tempo per girare tutta l’Isola non basta – dice Alibrìo al nostro giornale – Per questo procedo a tappe. Sono stato soprattutto nell’entroterra: in provincia di Enna, nel Palermitano, nel Messinese, mentre nella zona degli Iblei i riti legati alla Pasqua sono di meno, forse meno sentiti. La Settimana Santa – prosegue il fotografo – è molto sentita a Ferla, poi c’è qualcosa a Sortino (entrambi nel Siracusano, ndr), ma per quest’ultimo è una cosa che si sta perdendo». Alibrìo sottolinea che «per me il lavoro che faccio sui riti legati alla Pasqua è molto importante: esporlo a Palazzolo – dove non c’è una cultura della Settimana Santa e della Pasqua in generale – mi fa molto piacere, perché i palazzolesi stessi possono vedere quello che succede in altri paesi della Sicilia». Quella di Alibrìo «non è una mostra descrittiva, perché non procede in modo ordinato e cronologico tra i giorni della Settimana Santa», ma è un lavoro che ritrae «emozioni incrociate e in cui accanto alla foto di una persona che prega il Venerdì Santo si può trovare lo scatto di un’altra che sta esultando per la Resurrezione».

«Sono foto nelle quali non mi sono focalizzato sulla processione in sé – che è un contorno, un contesto – ma ho cercato di mettere a fuoco la parte umana e sentimentale. Questo – continua Alibrìo – perché a me piace raccontare nei visi, negli sguardi e nei gesti un momento sentito da molti. E in molti paesini – racconta il fotografo al nostro giornale – capita di imbattersi in un silenzio incredibile e in sensazioni di puro lutto». Ma anche secondo Alibrìo alcuni elementi si stanno perdendo e certi riti si sentono meno. «Una volta, non ricordo in quale paese fossi, mi sono accorto di questa cosa: era Venerdì Santo e buona parte del paese stava partecipando alla processione. Passando dalla piazza, però, ho visto che c’era un gruppo di 25-30enni seduti al bar: erano completamente sconnessi dal contesto e da quello che stava succedendo loro attorno». Eppure alcune cose restano immutate. «In alcuni casi – racconta il fotografo – appena arrivato in un paese, gli anziani seduti in piazza mi hanno guardato sospettosi, come per dire “ma questo chi è? Cosa vuole?”. Poi mi ci sono avvicinato e – visto che ho sempre la macchina fotografica in spalla – ho detto loro del mio progetto: a quel punto hanno iniziato a raccontarmi aneddoti sulle processioni, alcuni che venivano anche dai racconti dei loro nonni o dei loro padri. Mi piace molto instaurare con le persone che incontro un rapporto di questo tipo».


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