Riforme che potrebbero essere epocali, in termini di ricaduta sulla gestione dei territori e nella vita dei cittadini, ma che sembrano frenate dalla passività della politica. Sembra serena ma pratica- e soprattutto, attendista – la posizione di Ignazio Abbate, parlamentare della Democrazia Cristiana Nuova chiamato a presiedere la commissione Affari istituzionali dell’Assemblea regionale siciliana. Quella […]
La commissione Affari istituzionali all’Ars. Abbate (Dc): «Comuni più moderni, vigili efficienti e maggiore programmazione col governo» – Palazzi di vetro /10
Riforme che potrebbero essere epocali, in termini di ricaduta sulla gestione dei territori e nella vita dei cittadini, ma che sembrano frenate dalla passività della politica. Sembra serena ma pratica- e soprattutto, attendista – la posizione di Ignazio Abbate, parlamentare della Democrazia Cristiana Nuova chiamato a presiedere la commissione Affari istituzionali dell’Assemblea regionale siciliana. Quella da cui passano proposte di provvedimenti, regolamenti e norme che andranno a ridisegnare il futuro degli enti locali dell’Isola, a partire dai 391 Comuni.
Se n’è parlato tanto anche in termini di numeri e risultati, entrambi non entusiasmanti: cosa non funziona nel lavoro dell’aula e nel rapporto tra aula e governo?
«Io credo che il problema stia in una scorciatoia che viene spesso utilizzata: ossia quando si preferisce agganciare un provvedimento alle norme finanziarie e portarlo così in un’aula che vede di certo maggiore interesse e presenza dei deputati, anziché seguire la sua normale procedura. È un escamotage per arrivare prima all’approvazione ed è anche vero che i provvedimenti di iniziativa governativa arrivati alla commissioni sono stati pochissimi. Questo frena l’iniziativa dei deputati di maggioranza, che magari hanno una proposta pronta ma non sanno fin dove spingersi in attesa di capire l’orientamento del governo su certi temi. Toccherà al presidente Renato Schifani riprogrammare mentre noi, in commissione, possiamo dire di avere già tre importanti provvedimenti quasi in dirittura d’arrivo».
Di che si tratta?
«Innanzitutto la riforma degli enti locali per renderli più moderni e adeguati alle nuove normative, a partire dalla figura del revisore dei conti per arrivare alla legge elettorale. Poi c’è la riforma della polizia locale, mai avvenuta in Sicilia e attesa dal 1990, con cui si creeranno un coordinamento e un’accademia di formazione regionali, con conseguente revisione di gradi e percorsi di assunzione. Verrà insomma stravolta la figura dell’agente di polizia municipale che al momento è un dipendente comunale che può fare l’uno o l’altro, mentre noi abbiamo una visione diversa, di persone davvero formate e capaci, come accade in qualche altra regione italiana. E poi ci sono ovviamente le province e i liberi consorzi, su cui stiamo lavorando alla definizione delle competenze, vecchie e nuove, e alle risorse. Penso ad esempio a competenze fondamentali che in questi anni hanno trovato forme intermedie e dovrebbero invece passare alle province, come il coordinamento sulla raccolta dei rifiuti e la gestione dell’acqua».
A proposito di enti, spesso il dialogo tra loro – come Comuni e Regione – pare non filare affatto liscio con ricadute disastrose sui territori. Come si può migliorare?
«Siamo 391 Comuni, ognuno che organizza e programma per conto suo, anche su comparti fondamentali come il turismo. Serve coordinamento e il fatto che questo avvenga solo a livello regionale, con la lontananza di molti Comuni da Palermo anche di centinaia di chilometri, crea difficoltà di dialogo e programmazione. È una cosa che la Regione siciliana dovrà affrontare e risolvere con norme e regolamenti, perché per programmare servono regole e percorsi certi, altrimenti ognuno va per conto suo».
Uno dei problemi che più spesso viene posto è il blocco delle assunzioni per tutti gli enti locali: dal geometra che manca al piccolo Comune alla Regione che ha tanti dipendenti ma pochi nei ruoli davvero utili. Come si supera questo impasse?
«Parliamoci chiaro: la colpa risale agli anni ’80-’90, quando l’amministrazione pubblica non è stata trattata come un’azienda che fornisce servizi – la più grande in Sicilia – ma come un ammortizzatore sociale. E quindi adesso si ritrova a non avere le persone giuste ed è in grande difficoltà. Un primo passo può essere la riqualificazione del personale che ho già proposto: vede, in questi anni, pur di stabilizzare i dipendenti in maniera semplice, questi sono stati inseriti in categorie inferiori che non necessitano di concorso, nonostante alcuni siano in possesso della laurea. Questo significa che abbiamo 600 persone qualificate, specie in tanti uffici periferici, ma senza la qualifica corretta che permetta loro di seguire gli iter dei lavori e firmare gli atti necessari. Non sarà la soluzione, ma può dare una mano in attesa e nella speranza che venga finalmente rivisto l’accordo Stato-Regione che ha bloccato le assunzioni. Quando però si parla di questo tema relativo al Pnrr si dice una bugia, perché il piano prevede la possibilità di assumere a tempo determinato gli esperti necessari. In quel caso credo si tratti piuttosto di una mancanza di formazione: sono arrivati i soldi senza sapere cosa ci si dovesse fare con queste risorse».
Tra i temi della commissione ce ne sono due meno istituzionali: diritti civili e pari opportunità. Come si dovrebbe intervenire per rimuovere i principali ostacoli all’uguaglianza sociale?
«Anche in questo caso il nostro lavoro è legato alle competenze degli enti locali. Stiamo lavorando con l’assessorato alla Famiglia e al Lavoro a dei provvedimenti di riforma e sostegno alle categorie più vulnerabili con fondi europei ma, come dicevo prima, siamo in attesa da parte del governo di un provvedimento più organico. Così come quello, che in realtà noi avremmo anche già pronto, di riforma delle Ipab, le opere pie che in Sicilia sono tantissime e con un ruolo sociale importante, ma che stanno andando tutte in malora a causa di norme obsolete. Le Ipab, infatti, hanno tanti beni, frutto di lasciti e di proprietà della Regione, che però stanno cadendo a pezzi e non possono essere né venduti né messi a reddito. Questo va riorganizzato d’accordo col governo. Perché è vero che non dobbiamo mai mescolare le competenze parlamentari con quelle governative, ma lo stimolo sulla linea delle darlo il governo, che ha preso degli impegni con i cittadini attraverso il suo programma elettorale».