Omicidio Santapaola, parla pentito Seminara «Un finto summit per eliminare alcuni boss»

Un finto summit di mafia per sterminare alcuni elementi di spicco della famiglia di Cosa nostra dei Santapaola. La rivelazione arriva dalle parole del collaboratore di giustizia Davide Seminara durante l’ultima udienza del processo d’appello sull’omicidio di Angelo Santapaola e Nicola Sedici. Entrambi inghiottiti dalla lupara bianca nel 2007 nell’ambito di un regolamento di conti tutto interno ai Santapaola stessi. A quell’omicidio, che si consuma all’interno di un ex macello in contrada passo Martino, secondo quanto emerso finora, partecipano con ruoli diversi diversi elementi di spicco della cosca. Dal capo provinciale Vincenzo Aiello, fino a Daniele Nizza, ritenuto uno dei vertice di Cosa nostra nei quartieri catanesi di Librino e San Cristoforo

Il pentimento di La Causa? Una rovina

Su questo nome si concentrano le dichiarazioni di Seminara. Il pentito, che parla con i magistrati etnei dal dicembre 2014 è l’ex autista della famiglia dei Nizza. Un gruppo capeggiato in passato dai fratelli Fabrizio, anch’egli collaboratore, Daniele, rinchiuso in un penitenziario sardo, e Andrea latitante da diversi mesi. «Dopo l’omicidio – spiega Seminara – Andrea era preoccupato per il fratello Daniele». Timori che si erano fatti ancora più forti dopo il pentimento di Santo La Causa. L’ex reggente, presente il giorno dell’omicidio, che con le sue rivelazione avrebbe inchiodato tutti i partecipanti, compreso Daniele Nizza

«Era il mese di maggio del 2012 quando a San Cristoforo venne il fratello di La Causa – racconta Seminara nella sua ricostruzione – per dirci che il fratello si era pentito. Magrì (Orazio, ndr) in faccia era bianco, disse che era una rovina e non bisognava dire niente a nessuno». La notizia getta nello sconforto tutto l’ambiente di Cosa nostra catanese ma a risentirne maggiormente pare essere Andrea Nizza. «Ci disse che il fratello Daniele per stare tranquillo doveva organizzare una finta riunione – spiega il collaboratore – invitando Carmelo Puglisi e Orazio Magrì». Due tra i boss presenti il giorno dell’omicidio. «Disse “Li chiamiamo a tutti e ni facemu (li ammazziamo, ndr)”». Un piano di sangue che però poi non si concretizzò. 

Nel processo per il duplice omicidio in primo grado Vincenzo Aiello è stato condannato all’ergastolo perché ritenuto l’organizzatore. Con lui, per favoreggiamento, è stato condannato anche Salvatore Dibennardo, lavagista di Palagonia, che si sarebbe occupato della pulizia della macchina con cui i due corpi vennero trasportati fino a Ramacca, dove poi vennero ritrovati cadaveri dai carabinieri. Ancora al palo resta invece l’altro filone, quello sugli esecutori materiali.


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