Il forzista tornerà davanti alla Corte d'Appello di Palermo che due anni fa lo aveva assolto per i fatti posteriori al 1994 e prescritto per quelli - acclarati - precedenti. In ballo le interferenze sulla gestione della Calcestruzzi Ericina, sui lavori al porto e presunte pressioni per spostare prefetto ed ex capo della Dia
D’Alì, Cassazione annulla la sentenza d’assoluzione Nuovo processo per concorso esterno a Cosa nostra
Annullata la sentenza d’assoluzione del senatore uscente di Forza Italia Antonio D’Alì. La Corte di Cassazione ha deciso si rinviare in Corte d’Appello di Palermo la sentenza con cui i giudici, nel settembre del 2016, rimarcando la sentenza di primo grado, avevano dichiarato assolto il politico trapanese, chiamato a rispondere di concorso esterno in associazione mafiosa per i reati successivi al 1994 e prescritti i reati antecedenti a quella data. Adesso si svolgerà un nuovo processo, con la suprema corte che ha accolto la richiesta del procuratore generale Domenico Gozzo.
Un iter giudiziario lunghissimo. Due richieste di archiviazione da parte della Dda di Palermo, entrambe respinte dalla gip Antonella Consiglio e, nel 2012, il processo di primo grado con rito abbreviato. Ma dopo cinque anni, sulla vicenda non è ancora stata scritta la parola fine. Secondo la procura, l’ex senatore di Forza Italia «ha avuto rapporti diretti o mediati con numerosi esponenti di spicco di Cosa nostra», tra i quali il capomafia latitante Matteo Messina Denaro e l’ex capomandamento di Trapani Vincenzo Virga. Accuse che, nella sentenza di primo grado, trovano conferma. Soprattutto in merito alla vicenda della compravendita del terreno in contrada Zangara a Castelvetrano. Appezzamento che D’Alì vendette per duecento milioni di lire a Francesco Geraci, ex gioielliere e mafioso di Castelvetrano, oggi collaboratore di giustizia. «Non vi è dubbio – scrivono i giudici – che il fondo venne acquistato da Geraci su precisa istruzione di Matteo Messina Denaro e nell’interesse di Salvatore Riina (allora latitante, ndr). D’Alì incassò due assegni e restituì in toto la somma. Peraltro senza mai relazionarsi con Geraci, si fece trovare pronto a restituire il denaro ogni qualvolta Matteo Messina Denaro invitò Geraci a presentarsi presso la Banca Sicula; restituì in contanti, così consentendo a Messina Denaro di avere la disponibilità dì somme non tracciabili. Ciò – concludono i giudici – dimostra che D’Alì agì in maniera cosciente e volontaria, comprendendo che il proprio fatto era volto alla realizzazione dell’operazione architettata dai massimi esponenti di Cosa nostra e volendovi prestare il proprio contributo; non vi è alcuna plausibile giustificazione di senso diverso».
A questo episodio si aggiungerebbe «la certezza che abbia ricevuto l’appoggio elettorale in occasione delle prime consultazioni alle quali si è candidato, ossia quelle dell’anno 1994», in cui fu eletto senatore tra le fila di Forza Italia. Le certezze dei giudici finiscono qui e sono coperte dalla prescrizione. Per i successivi episodi contestati, secondo il tribunale, non sono state fornite prove a sufficienza per stabilire l’appoggio di D’Alì all’associazione mafiosa. In primo grado le accuse riguardavano presunte pressioni sul ministero dell’Interno, allora guidato da Giuseppe Pisanu, per trasferire il prefetto di Trapani Fulvio Sodano, che tanto si era adoperato per aiutare la Calcestruzzi Ericina, impresa in amministrazione controllata dopo essere stata confiscata al boss Virga. In più, secondo la procura, D’Alì avrebbe provato a interferire per interrompere appalti e forniture proprio della stessa ditta. Tuttavia, i giudici non hanno riconosciuto prove sufficienti per attribuire queste condotte al politico. Così come non sono state sufficientemente provate, a detta della Corte d’Appello di Palermo, le contestazioni mosse dal procuratore generale Gozzo nel processo di secondo grado: e cioè le pressioni per il trasferimento dell’ex capo della Direzione investigativa antimafia di Trapani Giuseppe Linares; un presunto giro di mazzette intorno a un appalto per le telesorveglianza a Trapani; e interferenze nell’aggiudicazione di importanti appalti, come quello per i lavori al porto di Castellammare del Golfo. A maggio scorso, è arrivata per il politico forzista la richiesta da parte della Dda di Palermo del soggiorno obbligato, appena 24 ore dopo la presentazione delle liste per le amministrative trapanesi che lo vedevano impegnato nella corsa a sindaco. Il procedimento di prevenzione è ancora in corso.