I magistrati hanno chiesto di acquisire anche le dichiarazioni del giornalista Valter Rizzo. Rimandata a gennaio la decisione sull'eventuale sequestro dei 52 milioni depositati in Svizzera e non dichiarati dall'editore, mentre il Gup ha rigettato le eccezioni della difesa che ha evidenziato una difformità di date indicate dai pm
Ciancio, la Procura presenta nuove prove Verbali Di Carlo su fatti precedenti all’82
Nuove prove da introdurre nel processo in cui è imputato Mario Ciancio. La richiesta è arrivata dai magistrati della Procura di Catania a margine dell’udienza preliminare in cui l’editore etneo è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. I documenti riguardano alcune dichiarazioni del giornalista siciliano Valter Rizzo, presumibilmente riferibili a un’audizione avuta in commissione nazionale antimafia, i fascicoli del sequestro di alcuni fondi di proprietà di Ciancio e un supporto digitale che contiene altri atti ritenuti utili dall’accusa. A decidere nel corso della prossima udienza sarà la giudice per l’udienza preliminare Gaetana Bernabò Distefano.
Quella tra accusa e difesa sarà una partita a carte scoperte. È questa la chiave di lettura di due eccezioni sollevate dai legali dell’imprenditore ed editore del quotidiano La Sicilia, poi respinte dalla giudice dopo una lunga camera di consiglio. Un passaggio processuale, tecnico ma allo stesso tempo importante, che non ha preso alla sprovvista il magistrato Antonino Fanara e la collega Agata Santonocito. La prima contestazione, secondo l’avvocato Peluso, riguardava la difformità delle date tra l’avviso di conclusione delle indagini e la richiesta di giudizio in cui Ciancio avrebbe contribuito, pur senza farne parte, alla causa di Cosa nostra. Nel primo documento la data è compresa tra il 1982 e il 2014, nel secondo invece la contestazione non ha formalmente una genesi. Una genericità che ha spinto il legale a chiedere «una maggiore chiarezza nella formulazione del capo d’imputazione». «Siamo soddisfatti, – spiega l’avvocato Carmelo Peluso dopo la decisione-. Nonostante il mancato accoglimento, l’eccezione è stata valutata come astrattamente attendibile in quanto è la legge stessa a indicare la data in cui è possibile far iniziare la contestazione e cioè il 1982, anno in cui è stato introdotto il reato del 416bis».
La motivazione della divergenza di date tra i due atti – come emerso durante l’udienza a porte chiuse – per i magistrati etnei è da collegare all’acquisizione nei faldoni dell’inchiesta di alcuni
verbali del collaboratore Francesco Di Carlo. Atti che potrebbero aver obbligato gli investigatori a ulteriori indagini riguardanti proprio un periodo antecedente al 1982. Originario di Altofonte, in provincia di Palermo, Di Carlo collabora con la giustizia dal 1996. Nel suo passato ci sono sopratutto gli affari legati alla droga e le frequentazioni importanti. È proprio lui a raccontare gli incontri avuti negli anni ’70 tra Palermo e Milano con Marcello Dell’Ultri e Silvio Berlusconi. Insieme ai quali, nel 1974 ad Arcore, sempre secondo Di Carlo, si sarebbero seduti allo stesso tavolo i capi di Cosa nostra dell’epoca, Mimmo Teresi e Stefano Bontade.
La giudice ha ammesso le costituzioni di parte civile. A presentarle nell’
udienza precedente erano stati i fratelli Dario e Gerlando Montana, assistiti dall’avvocato Goffredo D’Antona; l’ordine dei giornalisti di Sicilia con l’avvocato Dario Pastore e l’associazione Sos Impresa rappresentata dall’avvocato Fausto Maria Amato. Il nome di Ciancio, durante la mattinata, è stato scandito anche nell’aula in cui si decide sulle misure di prevenzione. La vicenda riguarda 52 milioni di euro che l’editore aveva depositato in Svizzera senza però averli dichiarati durante i vari scudi fiscali. Un tesoro su cui pende la richiesta di sequestro da parte della Procura di Catania. Il processo ha subìto l’ennesimo stop ed è stato rinviato a gennaio a causa della mancata citazione dei fiduciari che si occupavano dei conti dell’editore.