Gela, Luca 13 anni fa da indagato a vittima di estorsioni Il sequestro, la minaccia di suicidio e l’aiuto di Crocetta

Il 16 giugno del 2006 Salvatore Luca, fondatore di un impero economico tra vendita di auto di lusso e di immobili, si presenta davanti al municipio di Gela con una tanica di benzina e minaccia di darsi fuoco. Alcune settimane prima il suo patrimonio è stato oggetto di un importante sequestro da parte della Direzione investigativa antimafia di Caltanissetta e l’imprenditore è accusato di essere un prestanome del clan Rinzivillo. «Credo nella giustizia, ma voglio che sia giusta e celere», dice il 69enne che ieri è stato arrestato con l’accusa di concorso esterno alla mafia, sempre in appoggio ai Rinzivillo. In quel caso ad accorrere in suo soccorso arriva l’allora sindaco Rosario Crocetta che riceve Luca per un colloquio privato e, ricordano le cronache dell’epoca, si mobilita per aiutare la sua azienda in difficoltà. Grazie anche alla mediazione del primo cittadino, l’imprenditore avvia una collaborazione con la polizia, guidata a Gela in quel momento dal commissario Giovanni Giudice, oggi indagato nella stessa inchiesta con l’accusa di aver passato informazioni riservate alla famiglia Luca. 

In effetti le vicissitudini giudiziarie di Luca si risolvono positivamente: sei mesi dopo, l’intero patrimonio viene dissequestrato e gli imprenditori passano da accusati a vittime. Sono loro stessi, infatti, a denunciare le estorsioni subite dal clan Emmanuello, dando il via a una serie di arresti nel 2007. Un fattore determinante, secondo il giudice di allora, per decidere il dissequestro dei beni. «Le loro dichiarazioni – scrive il Gip nell’ordinanza di dissequestro – hanno trovato conferma nelle affermazioni del collaboratore di giustizia Rosario Trubia e sono incompatibili con l’accusa. Si ritiene che i collaboratori in precedenza escussi possano avere equivocato i rapporti tra i Luca e i vertici della cosca mafiosa».

A distanza di 13 anni la storia dei Luca torna però alla casella iniziale con l’operazione Camaleonte scattata ieri a opera del Gico della Guardia di finanza. «Le indagini – ha spiegato il procuratore capo di Caltanissetta Amedeo Bertone – offrono una visione abbastanza grave della crescita di questo gruppo imprenditoriale che per oltre vent’anni ha usufruito del contributo e del finanziamento del clan Rinzivillo che gli ha consentito di conquistare una posizione di monopolio all’interno del settore economico di cui si occupava». Il marchio Lucauto è riuscito a diventare leader in Sicilia nella vendita di macchine di lusso, mentre nell’immobiliare spicca la realizzazione di due importanti residence a Marina di Ragusa e Gela. Tutti beni finiti sotto sequestro. 

Gli inquirenti sono convinti che le denunce di estorsione siano state un tentativo, riuscito per molti anni, di vestire la casacca dell’antimafia (nel 2015 Salvatore Luca denuncia anche di avere ricevuto un macabro avviso, una gallina sgozzata con un proiettile in bocca), continuando invece a fare affari con i Rinzivillo. E non mettendo in dubbio che le estorsioni ci siano davvero state, sottolineano come i due clan di Cosa Nostra a Gela – i Rinzivillo (che sarebbero stati soci dei Luca) e gli Emmanuello (che invece avrebbero imposto le estorsioni agli imprenditori) – si siano a lungo osteggiati. 

Nel registro degli indagati nell’operazione Camaleonte è finito anche il poliziotto Giovanni Giudice, commissario a Gela a metà anni 2000, poi a capo della squadra mobile di Caltanissetta, in servizio ad Agrigento e infine a Perugia. La notizia ha spiazzato molti addetti ai lavori che hanno apprezzato il lavoro del dirigente nella provincia nissena. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, Giudice avrebbe passato informazioni riservate ai Luca, accedendo alla banca dati dello Sdi, in cambio del prestito di auto di grossa cilindrata oppure dell’acquisto dei mezzi a prezzi più bassi rispetto a quelli di mercato, o ancora con qualche soggiorno in albergo pagato dai Luca. 


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