La storia dell’insegnante partigiana di Monreale: «Tradita da una cartolina d’amore, ha resistito a due campi di sterminio»

Un cerotto che inizia a scollarsi per il caldo e lascia intravedere un numero. È così che comincia a riemergere la storia di resistenza di Maria Di Gesù, insegnante antifascista partigiana originaria di Monreale (in provincia di Palermo). È 86954 il numero di matricola con cui i tedeschi, nel campo di concentramento di Auschwitz, la marchiano sull’avambraccio sinistro. «Era estate, eravamo in treno, durante uno dei nostri viaggi – racconta a MeridioNews la pronipote Daniela Di Francesca – avrò avuto undici anni ed è stata la prima volta che ho visto quel tatuaggio che mia zia, solitamente, teneva coperto con un cerotto». Lo aveva mostrato tanto, soprattutto ai suoi giovani alunni, quando era tornata sopravvissuta da due lager. «A un certo punto – ricorda – si era chiusa in un silenzio quasi totale che, qualche volta, con me ha interrotto». Insegnante anche lei, la pronipote accoglie quei dolorosi racconti e li incrocia con documenti che la madre aveva custodito e conservato con cura e rispetto. «Dopo la morte di mia madre, ho deciso che era il momento di prendere quelle polverose carte e farle rivivere».

Così, pezzo dopo pezzo, Daniela Di Francesca ricostruisce la storia di Maria Di Gesù, la sorella della sua nonna materna. Una storia non solo personale e familiare, ma collettiva che, infatti, decide di condividere. «Perché il passato incide sul presente e sul futuro e la memoria – sottolinea la docente – è fondamentale per evitare che le generazioni future perdano del tutto la consapevolezza di quanto è accaduto». A partire dalla storia della sua prozia. Nata a Monreale nel 1902 in una famiglia della borghesia medio-bassa, Maria Di Gesù si impone sin da giovane con il padre per continuare gli studi prima al liceo classico e poi all’Università. Dopo la laurea in Lettere, nel 1933 va a insegnare italiano a Pola, in Istria. «In classe non nascondeva il suo essere convintamente antifascista», dice la pronipote che ha raccolto testimonianze dirette anche dagli ex alunni. Tra questi, però, oltre a molti che ricordano ancora con stima e ne tramandano i valori, c’era anche il figlio di un gerarca fascista.

Sono gli anni in cui la Resistenza si fa davvero. E Maria Di Gesù stringe legami molto forti con i più audaci animatori della lotta contro i nazifascisti, primo tra tutti Giuseppe Callegarini, medaglia d’oro al valor militare alla memoria. Suo alunno poi collega insegnante, da partigiano viene trucidato dai nazisti il giorno di Natale del 1944. «Con lui e altri intellettuali antifascisti – racconta Di Francesca – mia zia si incontrava di notte alla libreria Smareglia di Pola anche per ascoltare Radio Londra. Ancora più clandestini erano gli appuntamenti in una chiesa della città. Fingendo di pregare insieme ad altre donne – continua – riusciva a scambiare con gli altri, con cui condivideva la resistenza contro ogni forma di dittatura, bigliettini con informazioni». Accorgimenti che, fino a un certo punto, hanno funzionato. E, precisamente, fino all’arrivo di una cartolina ritagliata. «Il mittente era un ingegnere ebreo (di cui non si conoscono ancora le generalità) con cui mia zia si era fidanzata – ricostruisce la docente – Dovevano sposarsi e la mia famiglia stava già preparando il corredo quando lui, partigiano e antifascista, fu costretto a scappare».

Invia a Maria Di Gesù una cartolina che, però, viene intercettata. «Subito dopo, arriva la prima perquisizione da parte delle SS – dice Di Francesca – Mia zia viene presa, interrogata e portata in carcere a Venezia». Lì resta diversi mesi, poi viene trasferita a Trieste. «È l’agosto del 1944 quando arriva nel campo di concentramento di Auschwitz dove viene costretta ai lavori forzati». La spogliano, le rasano i capelli, le marchiano il corpo e la costringono a scavare nei canali delle fogne per undici ore al giorno a dieci gradi sotto zero. «Mi raccontava che, a tutto questo, era sopravvissuta solo grazie alla sua forza di volontà». E non sapeva ancora che non sarebbe finita lì. A novembre del 1944 infatti viene trasferita a Ravensbrück, un campo di sterminio che si trova nel nord della Germania e che «era riservato alle donne ribelli. Questa fase tedesca lei non la raccontò mai a noi – sottolinea la pronipote – ma ne siamo venuti a conoscenza da diversi documenti». Da prigioniera politica viene liberata dai sovietici il 30 aprile del 1945. «Quel giorno, si affaccia davanti alla porta della sua baracca e vede morire sotto i proprio occhi una delle sue compagne. Era proprio accanto a lei quando – racconta Di Francesca – uno dei pochi nazisti rimasti a Ravensbrück, che passava di lì per caso, spara un colpo e la uccide».

Sopravvissuta a tutto questo, Maria Di Gesù torna a Palermo. «Era così cambiata e stravolta anche nei lineamenti del volto – dice la pronipote – che nemmeno i suoi familiari la riconobbero». Riprende subito a insegnare in una scuola media di Palermo e ai suoi alunni racconta la sua storia. Un aiuto alla memoria arriva anche da una pietra d’inciampo: un quadrato di ottone grande come un sanpietrino che, nel 2020, è stato posto sul marciapiede in via Giuseppina Turrisi Colonna a Palermo. Proprio davanti alla casa dove l’insegnante partigiana sopravvissuta a due campi di sterminio ha abitato insieme al fratello maggiore Vito. Antifascista anche lui, diventato poi il primo assessore comunista del dopoguerra a Palermo, «fu arrestato perché organizzava incontri clandestini su monte Pellegrino e confinato a Ponza insieme a Gramsci e Pertini», conclude l’insegnante che continua a fare memoria dentro e fuori dalle classi.


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