L’Italia dell’ignoranza sancita per legge

Parte dalla facoltà di Lingue di Catania il primo atto di protesta ufficiale contro la riforma del sistema universitario del ministro Gelmini. Presentato e sottoscritto un documento nel quale emergono gli aspetti non condivisi della riforma e le proposte in itinere di alcuni docenti, studenti e impiegati tra il personale amministrativo della facoltà. Tra i primi a firmare il professore Attilio Scuderi, docente di Letterature comparate, che risponde alle nostre domande sulla politica dei tagli all’istruzione.

Nella nota del 4 settembre sulla riforma universitaria del ministro Gelmini si tirano le somme rispetto agli ultimi dieci anni ammettendo il fallimento del sistema 3+2. E’ d’accordo con queste conclusioni?
La riforma del 3+2 aveva una grande ambizione, cioè quella di portare molti più studenti dalla scuola all’università, quindi l’allargamento dei corsi di laurea, di collegare mondo dell’università e mondo del lavoro, di ridurre fuori corso e abbandoni e di introdurre, anche in Italia, un sistema di mobilità dei ricercatori e degli studenti. Purtroppo non basta fare solo le leggi. Per raggiungere questi obiettivi era necessario procedere in modo progressivo ma costante ad un rifinanziamento dell’università. Il sistema delle nostre università è finanziato come quello di un paese in via di sviluppo ma per avere un’università di tipo europeo ci vuole uno stanziamento di tipo europeo. In questi ultimi dieci anni è mancata una seria politica di rifinanziamento dell’istruzione e l’autonomia da sola non basta a garantire fondi all’università.

Pensa quindi che la riforma non sia stata applicata in modo sufficientemente adeguato alle esigenze dell’Università italiana?
Bisogna ammettere che la riforma è stata applicata spesso in modo maldestro e, ancor peggio, inefficiente, dai docenti con un proliferare di cattedre, di insegnamenti e con corsi di laurea fatti per ‘sistemare qualcuno’ e non perché avessero un’effettiva corrispondenza col mondo del lavoro e le esigenze degli studenti. Ecco perché adesso va fatta una revisione seria di ciò che è accaduto fin qui. Il 3+2 non ha dato i frutti sperati: il numero degli iscritti decresce mentre aumenta quello degli abbandoni e dei fuori corso a cui si aggiunge una mobilità azzerata degli studenti. Tutti questi sono elementi che ci preoccupano. Risolverli tagliando i contratti, aumentando le ore di docenza e abolendo tanti corsi di laurea è un danno ancora maggiore. Se il problema è la quantità e la qualità degli studenti che si iscrivono all’università, introdurre il numero chiuso d’ufficio per tutti i corsi di laurea non ci sembra la soluzione giusta.

Solo qualche giorno fa il ministro Gelmini ha annunciato che i ricercatori diventeranno a tempo determinato. Saranno previsti dei codici anti-parentopoli e le modalità di assunzione saranno per merito…
Non si troverà mai un ministro della giustizia che dica che i docenti vadano selezionati per amicizia e non per merito, questo è scontato. Il ministro Gelmini ha compiuto l’ennesimo atto di una ‘disonestà intellettuale’ che sembra essere la costante del mondo politico nei confronti dell’università. Ha annunciato che si assumeranno ricercatori presto e per merito, che gli studenti avranno un sostegno forte al loro diritto allo studio attraverso forme di mense, residenze, mutui agevolati, prestiti ma basta andare a vedere il documento di programmazione finanziaria dei prossimi anni per capire che non c’è un euro per finanziare queste cose. Se l’anno prossimo si tolgono trecento milioni di euro all’università, come si fa a immettere nuovi ricercatori? Se è valida la norma per cui ogni cinque pensionati c’è una immissione di ruolo, dove li prendiamo i soldi per assumere tutti questi giovani? E’ facile fare demagogia, poi però il paese crolla. Il problema è quindi prevedere la sostenibilità  dei regolamenti prima della loro effettiva applicazione. Basti notare la presenza di Tremonti ad annuire accanto alla Gelmini per rendersi conto di come, in realtà, le politiche dell’istruzione in questo paese le stianno facendo i ragionieri. Ci troviamo di fronte alla necessità di svelare un falso perché è disonesto annunciare quelle cose sapendo che non potranno essere realizzate.

La nota sulla riforma universitaria prevede che i provvedimenti sottoscritti dalla stessa siano applicati, in un primo momento, solo alle università pubbliche. Cosa pensa a riguardo? Arriveremo ad una ‘privatizzazione’ dell’intero sistema scolastico, come molti temono?
Questo è l’atro aspetto sconsolante di tutta la riforma dell’istruzione. E’ immorale prevedere una riforma dell’università che non sia congiunta di tutto il sistema, pubblico e privato.
Il sistema americano è molto semplice. Quando un ateneo ha grandi requisiti di qualità, sia essa pubblica o privata, riceve fondi dallo stato. Negli Stati Uniti i criteri valgono per tutti, qui no. Lo stato sta dicendo alle università pubbliche che devono stare attente, chiudere i propri corsi di laurea o farli tutti a numero programmato. D’altro canto le private diventeranno dei ‘laureifici’ in cui andrà chi ha soldi, chi è ignorante o chi ha soldi ed è ignorante, come per gli istituti parificati.

Lei e altri colleghi della facoltà di Lingue di Catania avete sottoscritto e presentato ufficialmente un documento contro i tagli all’Università. Quale lo scopo principale di quest’azione?
Noi adesso, gruppo di docenti, studenti e personale tecnico amministrativo, sentiamo il dovere morale di informare tutti, in particolare gli studenti e le famiglie, su come stanno realmente le cose sennò, come diceva Leopardi, ‘facciamo della nostra età un’età senza virtù’. Quando migliaia di studenti completeranno lauree triennali che non avranno specialistiche e si troveranno ingannati rispetto al legame dei loro studi col mondo del lavoro capiranno che occorreva investire maggiormente non solo sull’istruzione ma anche sui profili professionali dei nostri laureati. Questo rimane l’Italia dei privilegi, delle case, delle corporazioni e dei diritti negati ma ancora di più dell’ignoranza sancita per legge da un governo che non è capace di fare politica dell’istruzione. Il presidente Napolitano, in un incontro congiunto con Portogallo e Spagna, diceva che uscirà dalla crisi chi sarà capace di rafforzare il sistema della conoscenza, l’istruzione e la ricerca. L’America sta facendo così mentre noi, in Italia, tagliamo. Usciremo prima dalla crisi?

Una lettera per informare studenti e famiglie sul futuro che attende l’Università, questo il primo passo. Quali altri obiettivi intendete perseguire a riguardo?
E’ importante iniziare a pensare ad una sorta di coordinamento catanese, siciliano dell’istruzione e della ricerca. Molte delle politiche sulla gestione della formazione scolastica di primo e secondo livello e della formazione universitaria vengono oggi spostate a livello regionale. Se la sopravvivenza dei poli universitari dipende dai fondi della Regione, è necessario che nascano delle realtà che siano capaci di ragionare ed interloquire. Pensiamo ad un comitato capace di proporre dei momenti di confronto con la politica e sperimentare forme nuove ed efficaci all’interno delle università. Si può fare molto con la creatività e si potrebbe fare moltissimo con una maggiore solidarietà tra generazioni, cosa che purtroppo manca. Senza un patto tra studenti, docenti giovani, docenti anziani e personale amministrativo dal sistema dell’istruzione non ne usciamo. Siamo tutti sulla stessa barca e solo remando insieme possiamo tirarla davvero su.


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