Il vermocane prolifera nel Mediterraneo, la ricercatrice: «Un problema per i pescatori, ma non c’è pericolo per la balneazione»

Ha una colorazione sgargiante, è lungo tra i 15 e i 30 centimetri e negli ultimi anni ha aumentato di molto la sua presenza nel mar Mediterraneo. È il vermocane, l’animale di cui molto si sta parlando in queste ore, non senza imprecisioni da parte della stampa. Conosciuto anche come verme di fuoco, è un polichete marino, cioè un organismo con molte setole; che sono fragili e si spezzano facilmente se entrano in contatto con la pelle umana. Ma «non è più urticante di una medusa», dice a MeridioNews Michela D’Alessandro, ricercatrice dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale (Ogs). Le setole del vermocane «rilasciano tossine urticanti che provocano solo bruciori, edemi e pruriti – dice D’Alessandro – ma il problema più grosso ce l’hanno i pescatori».

Il vermocane, infatti, è «un predatore molto attivo: mangia molluschi, stelle e ricci», dice la ricercatrice, che lavora nella sede Ogs di Milazzo, in provincia di Messina. Le problematiche legate a questo animale non dipendono da una presunta accresciuta aggressività predatoria, ma dal fatto che «sta aumentando molto di numero, sta proliferando a causa dell’innalzamento delle temperature». Inoltre, se consideriamo che «nei nostri mari non conosciamo predatori naturali del vermocane» e che «è un animale dotato di plasticità alimentare» – in base alla località in cui si trova mangia alcune specie piuttosto che altre, adattandosi molto facilmente – possiamo capire come mai negli ultimi anni il vermocane sia diventato un problema, soprattutto per chi vive di pesca. Sempre più spesso, infatti, i pescatori trovano i vermocani nelle loro reti, molte volte mentre mangiucchiano i pesci catturati.

Per provare a supportare i pescatori – che hanno chiesto soccorso all’Ogs – l’Istituto ha avviato Worms out (via i vermi, ndr), «un progetto autofinanziato a cui hanno aderito anche le università di Modena e Reggio Emilia, Catania e Messina, ma anche l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), l’Area marina protetta di Capo Milazzo e ScubaBiology», iniziativa che vuole sensibilizzare e informare sul tema del mare e della biologia marina. Gli obiettivi principali dell’iniziativa sono capire la distribuzione del vermocane, misurare il suo impatto economico e provare a capire come contenere la sua proliferazione. «Questo è quello che vorremmo fare – dice la ricercatrice – ma servono finanziamenti. Crediamo in questa ricerca, perché pensiamo sia un servizio alla comunità che getta le basi per qualcosa di più grande: il coinvolgimento del compartimento marittimo». Ma, appunto, servirebbe supporto economico dalle istituzioni. «Lo smaltimento dei vermocani costa, perché sono un rifiuto speciale, quindi non possono essere trattati come un rifiuto organico».

Nell’ambito del progetto le ricercatrici e i ricercatori dell’Ogs stanno «catturando esemplari di vermocane per studiarne la dieta. Si calano in mare delle trappole – dice D’Alessandro – praticamente dei cestini dell’organico traforati, dentro c’è pesce e altro materiale che funge da esca. Il vermocane entra dai buchi, anche da sotto». Le trappole vengono installate sia da personale subacqueo che da squadre in barca. E i pescatori danno una mano «segnalando le zone dove ci sono i vermocani». Ma aiutano anche grazie a un questionario, curato proprio dall’Ogs e rivolto sia a loro sia al resto della cittadinanza. In questo modo si può «capire bene l’entità dell’invasione – dice D’Alessandro – e capire come operare». Inoltre si possono segnalare avvistamenti di quest’animale grazie ad avvistAPP, che si può scaricare gratuitamente sugli smartphone. I monitoraggi sui vermocani sono in corso in Sicilia e nell’area di Capri; in particolare, nell’areale di Milazzo si sta studiando la loro dieta.

Come spesso succede quando un fenomeno con caratteristiche specifiche e tecniche viene trattato improvvisamente da persone non addette ai lavori, capita che su quella cosa si dicano o si scrivano alcune imprecisioni. «Non è vero – dice la ricercatrice dell’Ogs – che se il vermocane si spezza in due, si rigenera. È successo solo in laboratorio e a determinate temperature, nelle sue condizioni ottimali. In natura, però, questo fenomeno non è certo». Inoltre nessun allarmismo per la stagione balneare. «È vero che il vermocane è stato avvistato anche in acque bassissime – dice D’Alessandro al nostro giornale – ma non ci sono particolari pericoli. Anche perché si tratta di un predatore notturno, che di giorno sta sotto gli scogli. Possiamo tranquillamente fare il bagno e delle immersioni. Se dovessimo vederlo, basterà non toccarlo», conclude la ricercatrice.

Video di Melino Salmeri


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