Di necessità, (il contrario di) virtù. Per ogni persona, ogni luogo e ogni cosa, Matteo Messina Denaro trova un nomignolo azzeccato. Quella di un linguaggio criptico utilizzato nelle lettere e nei pizzini dal boss mafioso ormai ex superlatitante è di certo una trovata per evitare di lasciare in giro troppe tracce con riferimenti chiari a […]
La necessaria passione di Matteo Messina Denaro per i nomignoli. Da Lupetta al tugurio fino a Macondo
Di necessità, (il contrario di) virtù. Per ogni persona, ogni luogo e ogni cosa, Matteo Messina Denaro trova un nomignolo azzeccato. Quella di un linguaggio criptico utilizzato nelle lettere e nei pizzini dal boss mafioso ormai ex superlatitante è di certo una trovata per evitare di lasciare in giro troppe tracce con riferimenti chiari a persone della sua rete di complici e a posti frequentati quotidianamente. La necessaria passione di Messina Denaro per gli pseudonimi emerge con chiarezza dalla fitta corrispondenza che si è scambiato, per molti anni, con Laura Bonafede. La maestra con cui avrebbe avuto una relazione sentimentale che oggi è finita in carcere con l’accusa di avere favorito la sua latitanza. Una confidenza che ha origini antiche e che è stata, in qualche modo, ereditata. Il padre dell’insegnante di scuola elementare, lo storico boss di Campobello di Mazara Leonardo Bonafede – detto Zu Nardo, che nei loro scambi diventa Uomo – aveva un rapporto «di stima e di fiducia» con il padre di Messina Denaro, Francesco. Una circostanza confermata anche da un cugino acquisito del boss, Lorenzo Cimarosa, che durante un interrogatorio del febbraio del 2016 ha parlato di «vera e propria adorazione» da parte di Leonardo Bonafede nei confronti di Matteo Messina Denaro. «Bonafede per lui stravede. Una persona di 80 anni che si mette a piangere se parla di Matteo Messina Denaro […] Perché sono un’unica cosa loro». Rapporti che si sono proiettati dal passato al presente, come un’eredità di legami indissolubili che si tramanda di padre in figli.
Quello tra Matteo Messina Denaro e Laura Bonafede è certificato nelle lettere che i due si scambiano prima degli incontri. Scritti dove tutto ha un nome in codice. Lui è Depry (che sembrerebbe essere il diminutivo di Depravato), lei è Cugino oppure Amico mio. Sempre al maschile per tentare di sviare i sospetti dei Nemici che sono le forze dell’ordine. Qualche volte è con Venesia o Blu che Messina Denaro si rivolge a lei negli scritti. Il soprannome per sua figlia Martina Gentile – da oggi indagata per lo stesso reato della madre – è invece Lupetta mentre lei, qualche volta, si firma Tania o Tany quando scrive al boss senza celare la devozione che ha per lui al punto di considerarlo componente della propria famiglia. Bamby, invece, è il marito di Laura Bonafede e padre di Martina, Salvatore Gentile. Condannato all’ergastolo per avere commesso due efferati omicidi – quello di Pietro Calvaruso e quello di Nicolò Tripoli rispettivamente nel settembre del 1991 e nel gennaio del 1993 entrambi a Campobello di Mazara – proprio su ordine di Messina Denaro. Oltre a Diletta, Tramite o Lest (in inglese) sono i nomignoli Lorena Laceri – altra donna con cui Messina Denaro avrebbe avuto una liaison – la moglie di Maloverso, ovvero Emanuele Bonafede. Perlana era, infine, il soprannome per Francesco Luppino, l’uomo che è stato arrestato insieme a Messina Denaro il 16 gennaio alla clinica privata La Maddalena di Palermo, ovvero Lo Squallido.
L’ex primula rossa di Cosa nostra, infatti, non si limita a trovare vezzeggiativi solo per le persone, ma lo fa anche per i luoghi e le cose. La sua malattia (un tumore al colon) diventa La Romena e la sua auto – una Giulietta nera – viene appellata Margot. Anche ai posti non viene lasciato il loro nome originale: ci sono Il tugurio e Il limoneto, che sono i luoghi dove Messina Denaro si sarebbe incontrato con Laura Bonafede per trascorrere del tempo insieme; Castelvetrano diventa Aragona e Campobello di Mazara viene trasformata in Macondo. Con un rimando letterario del boss che fa riferimento al nome del paese immaginario della foresta colombiana dove Gabriel Garcìa Marquez ambienta il suo libro Cent’anni di solitudine. Una solitudine di cui però, Messina Denaro non avrebbe mai sofferto. Circondato e accudito dalla sua cerchia di fiancheggiatori che gli ha permesso di vivere per molti anni con normalità la sua situazione di latitante più ricercato del mondo. «Senza neppure nascondersi troppo – si legge nell’ordinanza del giudice per le indagini preliminari – in una zona setacciata e controllata con i più sofisticati sistemi di intercettazioni e di videosorveglianza di tutti i luoghi strategici. Ma, anzi, palesando a tutti il suo viso riconoscibile, almeno per i tantissimi che lo avevano conosciuto personalmente».