«Andrea Bonafede ha consapevolmente fornito a Matteo Messina Denaro, per oltre due anni, ogni strumento necessario per svolgere le proprie funzioni direttive: identità riservata, un covo, mezzi di locomozione per sposarti in piena autonomia». Sono le parole messe nero su bianco dal giudice per le indagini preliminari Alfredo Montalto nelle 17 pagine di ordinanza con […]
L’arresto di Andrea Bonafede, «uomo d’onore riservato». Le carte dell’inchiesta e le falle della sua versione
«Andrea Bonafede ha consapevolmente fornito a Matteo Messina Denaro, per oltre due anni, ogni strumento necessario per svolgere le proprie funzioni direttive: identità riservata, un covo, mezzi di locomozione per sposarti in piena autonomia». Sono le parole messe nero su bianco dal giudice per le indagini preliminari Alfredo Montalto nelle 17 pagine di ordinanza con cui, da ieri sera, Andrea Bonafede è stato sottoposto alla misura cautelare del carcere. Il geometra, nato a Campobello di Mazara, in provincia di Trapani, nel 1964, è accusato di associazione mafiosa. Ma perché Matteo Messina Denaro, ricercato da trent’anni, si sarebbe rivolto proprio a Bonafede? La risposta, per gli inquirenti, andrebbe cercata nella famiglia stessa del geometra trapanese e in particolare nell’essere il nipote del boss Leonardo Bonafede, morto nel 2020 ma riconosciuto colpevole di essere stato il reggente della famiglia mafiosa di Cosa nostra a Campobello di Mazara. Articolazione, quest’ultima, che «quanto meno negli ultimi anni ha protetto la latitanza di Messina Denaro», scrive il giudice nell’ordinanza. La figura del geometra arrestato dai militari del Ros dei carabinieri, coordinati dal procuratore Maurizio de Lucia e dal sostituto Paolo Guido, appare «riconducibile a quella di un affiliato riservato al servizio diretto del capomafia».
A Matteo Messina Denaro e al suo alias gli investigatori sono arrivati grazie alle intercettazioni telefoniche. Ascoltando le conversazioni di alcuni familiari si è estrapolato un dato fondamentale: il boss di Castelvetrano era malato di cancro e aveva bisogno di curarsi in strutture specializzati. Attraverso il registro dei tumori gli inquirenti hanno incrociato i dati su età, sesso e patologia per risalire al paziente Messina Denaro. Così si è arrivati al nome del sedicente Andrea Bonafede e all’intervento chirurgico a cui si era sottoposto a novembre 2020. I dati del traffico telefonico del vero Bonafede hanno però fatto emergere la sua presenza in territori diversi rispetto a quelli del malato oncologico. Dettaglio «che forniva una prima significativa conferma che l’identità del paziente Bonafede fosse quella di Messina Denaro».
La versione di Andrea Bonafede
Il geometra 58enne, durante il suo interrogatorio, ha sostenuto di avere incontrato a metà 2022 e per caso il capomafia stragista mentre passeggiava a Campobello di Mazara. Quella sarebbe stata la prima occasione in cui Matteo Messina Denaro gli avrebbe chiesto aiuto facendo riferimento alle sue gravi condizioni di salute. Un paio di giorni più tardi, sempre stando al racconto di Bonafede, il boss di Castelvetrano avrebbe avanzato una nuova richiesta di aiuto facendo esplicito riferimento alla cessione dei documenti per riuscire a curarsi. Bonafede ha ammesso di avergli consegnato la tessera sanitaria e la carta d’identità, specificando però come quest’ultima gli sarebbe stata restituita successivamente. Il geometra ha risposto anche alle domande sull’acquisto dell’appartamento al civico 31 di via CB, a Campobello di Mazara, che sarebbe stato pagato con 15mila euro in contanti consegnati da Messina Denaro. Infine l’intermediazione con il medico di base Alfonso Tumburello (indagato, ndr), per l’emissione di alcune ricette senza però rivelare la vere identità del boss.
Cosa non ha convinto della ricostruzione di Bonafede
«Ci sono almeno due elementi radicalmente incompatibili», scrive il giudice delle indagini preliminari. Il primo riguarda la carta d’identità. Il geometra sostiene che il documento gli era stato restituito ma in realtà era nella disponibilità del boss di Castelvetrano al momento dell’arresto davanti la clinica La Maddalena, Palermo. Altro passaggio è quello relativo ai tempi. Bonafede ha spiegato ai pm di avere incrociato per la prima volta Messina Denaro a metà 2022 ma stando alla ricostruzione della procura il boss stragista avrebbe utilizzato l’alias già il 13 novembre 2020 quando venne sottoposto a un primo intervento chirurgico, all’ospedale Abele Ajello di Mazara del Vallo, per la rimozione di un tumore maligno. A carico del geometra c’è anche la questione riguardante le due automobili che l’ormai ex latitante avrebbe utilizzato. La prima è una Fiat 500 Lounge che il 27 luglio 2020 venne acquistata da Giuseppa Cicio, mamma di Bonafede. L’altra è l’Alfa Romeo Giulietta comprata a gennaio 2022. Intestataria sempre l’anziana signora che per completare l’operazione diede in permuta la Fiat 500. Alle macchine si arriva grazie alla segnalazione di un rivenditore, arrivata tre giorni dopo l’arresto di Messina Denaro. Per la donna, invece, nei giorni scorsi è scattato il sequestro di una casa di proprietà all’angolo tra via Marsala e via Cusmano, a Campobello di Mazara.
«Non è minimamente credibile – aggiunge il giudice nei documenti – che il latitante più pericoloso e ricercato d’Italia, a un certo punto si sia affidato a un soggetto incontrato occasionalmente e non affiliato, soprattutto nel momento in cui aveva necessità di entrate in contatto con strutture pubbliche». Bonafede per i magistrati farebbe invece parte di una cerchia ristretta di fedelissimi. Un dato che viene estrapolato anche dalle esperienze passate. «È avvenuto per Riina, il cui covo era ignorato persino da Provenzano, per lo stesso Provenzano, per i fratelli Brusca, per i fratelli Graviano e per Bagarella. In tutti questi casi il covo, sino al momento dell’arresto di chi l’occupava, è stato conosciuto soltanto da pochissimi soggetti».