L'uomo, coinvolto nel blitz Carthago 2, ha deciso di collaborare. La sua testimonianza è stata acquisita nel processo che vede alla sbarra anche il boss amante dei neomelodici, che gestiva la famiglia mafiosa mentre era ai domiciliari in viale Biagio Pecorino. «Continui ricambi di sim dopo il blitz Kronos», racconta
I verbali del nuovo pentito di Cosa nostra Bonanno «Saro Lombardo era il capo e dirigeva Santapaola»
La famiglia mafiosa dei Santapaola, al tempo dei continui blitz, cerca di fare affari tra nuovi capi voltagabbana, utenze citofono che consentono l’accesso all’interno di una rete riservata di comunicazione con una miriade di nomignoli e continue estorsioni. Sono alcuni dei passaggi salienti dei verbali di Salvatore Bonanno, che MeridioNews ripercorre in esclusiva. Affiliato semplice con la mansione di esattore del pizzo, ma sopratutto ultimo pentito di Cosa nostra, il 30enne è stato arrestato a luglio scorso durante l’operazione Carthago 2 e, da diverse settimane, ha deciso di sedersi faccia a faccia con i magistrati della procura di Catania.
Chiamavamo Saro Lombardo ‘u ziu, per indicarne l’importanza
Il 18 settembre scorso, l’uomo ha ripercorso nomi in codice e messaggi di testo, provenienti da sim intestate spesso a cittadini del Bangladesh, usati per interagire con i nuovi vertici della cupola catanese. Dentro c’erano il piccolo, Gabibbo, ma anche Lupin, gocciolo e Cicciolina. A Francesco Santapaola era stato affiancato il nome d’arte della pornodiva Ilona Staller, mentre a Saro Lombardo, troppo noto con il suo storico appellativo di ‘u rossu, quello del personaggio comico ideato da Antonio Ricci per le sue trasmissioni su Canale 5. Il boss amante dei neomelodici, mentre era ai domiciliari, avrebbe scambiato 82 sms in appena nove giorni con Santapaola. Perquisizioni e arresti però imponevano continui ricambi: «Si faceva per cautela e in particolare – svela Bonanno – dopo il blitz Kronos».
Nelle parole di Bonanno ci sono i racconti degli anni recenti di Cosa nostra catanese. Fatti di piazze di spaccio, nuovi capi che si alternano e diatribe interne, spesso portate avanti dietro le quinte in maniera riservata. Il tutto in un ambiente che ha vissuto due momenti di forte palpitazione: il pentimento dell’ex boss della droga Fabrizio Nizza e la latitanza, poi conclusa con l’arresto, del fratello Andrea Nizza. Il pentito, nei suoi verbali, relega a un ruolo di secondo piano Francesco Santapaola, arrestato nell’inchiesta Kronos per essere ufficialmente, almeno secondo gli inquirenti, il reggente della famiglia: «Veniva manovrato da Saro Lombardo – spiega ai magistrati -. Essendo il suo padrino gli dava consigli sulla gestione del gruppo e per tutti gli affari illeciti, ovvero spaccio ed estorsioni».
I summit, a cui Bonanno non avrebbe partecipato in prima persona ma di cui conoscerebbe i dettagli grazie ai racconti dei suoi fratelli, si sarebbero tenuti nella casa di Lombardo, in viale Biagio Pecorino, nel cuore del quartiere di San Giorgio. «Lo chiamavamo ‘u ziu – prosegue Bonanno – per indicarne l’importanza. Era il capo e aveva il potere di decidere tutto». Gabibbo negli ultimi anni sarebbe riuscito a ritagliarsi un ruolo di primo piano, nonostante gli arresti domiciliari, proprio all’interno della famiglia Nizza, anche grazie alla vicinanza con Marcello Magrì, detto Lupin, fratello di Orazio, killer dei Santapaola: «Quando Saro non c’era – prosegue Bonanno – il termine zio veniva utilizzato per indicare Magrì», che avrebbe beneficiato pure «della lista degli acquirenti della droga di Saro». Nei verbali Bonanno parla anche alcune estorsioni. Sei episodi, già emersi nell’inchiesta Carthago 2, avvenuti all’interno di alcuni cantieri edili tra Catania e i Comuni dell’hinterland. E proprio il pizzo resta uno dei punti fermi dell’organizzazione per riuscire a riempire le casse.
Una delle vicende più note è quella che ha riguardato l’azienda di illuminazione Simei spa, di Gianluca Chirieleison, nota per il caso dell’assessore del Comune di Catania Giuseppe Girlando. Bonanno nei suoi verbali riconosce anche Sebastiano Grasso, titolare dell’omonimo negozio di mobili nei pressi del bar Alecci a Gravina di Catania: «Era il mio datore di lavoro in maniera formale – spiega – in modo che io potessi avere l’affidamento ai servizi sociali». Secondo il pentito, sarebbe stato proprio l’imprenditore «a essere stato incaricato da Vito Romeo di contattare un dipendente della Simei per fare da tramite con la ditta affinché portasse al negozio le somme dell’estorsione».