Dalla condanna per mafia al ritorno a casa ai domiciliari Esce Pietro Pollichino. «Il Dap non ci ha regalato nulla»

«Diritto alla salute». L’avvocato Giuseppe Colucci non fa che ripeterlo. Specie quando si parla di Pietro Pollichino, scarcerato dal carcere di alta sicurezza di Melfi e posto in regime di arresti domiciliari nella sua casa di Contessa Entellina. Una decisione presa dal tribunale di sorveglianza di Potenza e che sta suscitando non poche polemiche. Pollichino, infatti, scontava una condanna definitiva a sei anni e otto mesi per associazione a delinquere di stampo mafioso: riconosciuto dagli inquirenti come uno degli esponenti del mandamento di Corleone, avrebbe finito di scontare la sua pena a luglio 2021, l’anno prossimo. L’uomo però, oggi 78enne, è affetto da numerose patologie e soffre di gravi problemi cardiaci, che hanno spinto l’avvocato Colucci a chiedere la detenzione domiciliare. «Oggi il mio telefono è rovente, non la finisce più di squillare, vogliono tutti chiedermi di Pietro Pollichino, ma com’è possibile?». È una circostanza, questa, che desta non poco stupore nel legale lucano.

«Il diritto alla salute è preminente – dice infatti con forza -, è costituzionalmente garantito, se c’è un quadro clinico particolare e si è sulla soglia degli 80 anni con undici patologie certificate e manca un anno e mezzo circa per il fine pena, qual è la meraviglia? Il Dap non ci ha regalato niente, né il tribunale di sorveglianza. C’è stato dato solo ciò che era dovuto e da magistrati d’esperienza, di lungo corso, non sono magistrati di prima nomina. Tra questi c’è anche la presidente Stella che è un signor magistratoÈ stato valutato, pesato e soppesato su tutto Pietro Pollichino, prima di avere questo beneficio. Comunque va ai domiciliari, non è libero». Eppure, a poche ore dalla notizia, è montata subito la polemica. Come, del resto, era già accaduto nei giorni scorsi di fronte alla concessione dei domiciliari anche ad altri detenuti condannati per mafia. «Pasquale Pepe, vice presidente della Commissione parlamentare Antimafia e mio compaesano, si sta lamentando, ma di cosa? – domanda ancora il legale -. È anche un avvocato, dovrebbe conoscere l’ordinamento penitenziario».

«È stato chiesto al Dap – continua l’avvocato Colucci – se c’era la possibilità di mandarlo in un istituto dove fosse possibile un’assistenza infermieristica h24 e che fosse in prossimità di un tic, e ovviamente non c’è, ma è ovvio che in Italia non c’è un carcere attrezzato in questa maniera. Togliendo Viterbo, Parma, Roma e Pisa, riservati però ai 41 bis. E Pollichino non è un 41 bis. Solo che quando scrivi “Corleone” dà un effetto decisamente diverso rispetto a dire “Pordenone”». Un accostamento, insomma, particolarmente evocativo e che forse, in un periodo come quello attuale, ingigantisce ulteriormente la portata di una circostanza come questa. «Possiamo dire che Pietro Pollichino è rimasto incensurato fino a 74 anni? Fino a questa condanna lui era un incensurato, anche questo dovrebbe contare qualcosa – osserva ancora il legale -. Ho persone detenute in alta Italia che hanno scongiurato un tampone e quando è arrivato, è risultato positivo. In Piemonte è pieno di detenuti positivi al Covid, idem in Lombardia e in Emilia, i numeri che escono non corrispondono alla realtà. Quando si parla di 150 detenuti positivi quello è un dato per difetto aggiornato all’1 aprile e fermo da quella data».

Ha la sensazione, quasi, che i detenuti siano percepiti a volte come cittadini di serie b, gli ultimi nel sistema Stato a poter accampare richieste o, meno ancora, diritti. «Per questo mettono le carceri lontane dalle città come i cimiteri, per seppellire le persone, ma non è così che deve funzionare. Troppo facile, adesso, cavalcare tutti la questione dell’emergenza virus – torna a dire l’avvocato Colucci -, sembra che sia diventata la chiave per uscire dal carcere e che noi avvocati siamo degli speculatori ma non è così, perché i tribunali valutano tutto, ma tutto tutto e sono più le volte in cui ci dicono di no che di sì. Inoltre, io questa istanza l’ho presentata a dicembre, proprio per via delle patologie di cui soffre Pollichino. Non c’era alcuna emergenza Covid, per me era meritevole questa richiesta a prescindere dal virus». Istanza quindi presentata per ragioni di salute, appunto: due relazioni mediche hanno attestato l’incompatibilità con la detenzione in carcere per patologie pregresse di tipo cardiaco.

Che a suscitare ulteriore impressione sia il fatto che questo detenuto in particolare non abbia collaborato coi magistrati? L’Antimafia di Palermo, infatti, ha sottolineato come Pollichino «non risultava essersi ravveduto, non avendo posto in essere manifestazioni di dissociazioni dal sodalizio mafioso». Motivo per cui dal capoluogo siciliano era giunta opposizione alla richiesta dei domiciliari. Ma, per via soprattutto del suo stato di salute, l’attuale situazione epidemiologica «rende difficoltoso fare ricorso ai trattamenti sanitari presso i presidi territoriali esterni», come si legge in una nota del Dap. Pertanto il tribunale ha concesso la detenzione domiciliare di nove mesi, con permesso di due ore al mattino per esigenze di salute e divieto di usare i telefoni cellulari.


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