Oltre ai tre ex commilitoni accusati di omicidio e all'ex generale della Folgore Enrico Celentano, il quinto indagato è Salvatore Romondia, ex ufficiale in congedo oggi 73enne. Sarebbe stato lui a chiamare Panella un'ora dopo il ritrovamento del corpo
Emanuele Scieri ucciso per «futili e abietti motivi» Pm: «Struttura di comando seppe presto della morte»
«Lavorando a ritroso abbiamo rintracciato una telefonata partita dall’interno 209 che appartiene all’aiutante maggiore Salvatore Romondia». È l’ex ufficiale in congedo della Folgore, oggi 73enne, il quinto indagato nell’inchiesta sulla morte del parà siracusano Emanuele Scieri avvenuta 21 anni fa all’interno della caserma Gamerra di Pisa. A Romondia, la procura di Pisa che ha chiuso le indagini contesta l’ipotesi di favoreggiamento. «La telefonata – ha spiegato il procuratore capo di Pisa Alessandro Crini – risulta dai tabulati un’ora dopo il ritrovamento del cadavere (il 16 agosto del 1999, tre giorni dopo la morte, ndr) e compare tra decine di altre chiamate indirizzate a vari comandi. Quella di quattro minuti, è destinata all’abitazione romana della famiglia Panella e assume, per noi, una rilevanza significativa».
Secondo gli inquirenti, quella conversazione telefonica con l’allora caporale Alessandro Panella sarebbe servita a progettare una possibile strategia difensiva per le indagini sulla morte dell’allievo paracadutista che sarebbero partite di lì a poco. L’ex capocamerata – originario di Cerveteri e oggi 41enne – è uno dei tre ex commilitoni indagati per omicidio, insieme ad Andrea Antico – originario di Casarano (in provincia di Lecce) e l’unico ancora in servizio presso il settimo Reggimento Aves di Rimini – e Luigi Zabara residente nel Frusinate. Quarto indagato per false dichiarazioni al pubblico ministero è l’ex generale della Folgore Enrico Celentano.
«Abbiamo elementi che ci danno dimostrazione del fatto che il livello di conoscenza dell’episodio fu abbastanza immediato da parte della struttura di comando e comportò una serie di reazioni e di organizzazioni di cose che furono messe in atto». Il procuratore Crini ha fatto riferimento a «contatti successivi legati all’episodio» e ha sottolineato che gli elementi relativi alle «cosiddette coperture» sono stati acquisiti grazie anche al «contributo molto fattivo dell’attuale struttura militare del Capar». Il centro di addestramento paracadutismo che ha sede alla caserma Gamerra di Pisa «ha dato piena collaborazione al nostro lavoro», ha sottolineato Crini.
Un lavoro iniziato circa due anni fa, dopo la relazione della commissione parlamentare d’inchiesta, che ha portato alla scoperta di «una situazione molto incandescente dentro il Capar – ha affermato il procuratore capo – In quei giorni, c’era stato un avvicendamento ai vertici proprio per queste tensioni che esistevano». Le indagini hanno cercato «di ricostruire contesto e antefatto». Stando a quanto ricostruito, a Scieri «prima fu ordinato di svestirsi parzialmente poi fu percosso. Quando si rivestì per sfuggire alle violenze, tentò di salire sulla scala della torretta, arrampicandosi dalla parte esterna». A quel punto, sarebbe stato inseguito da Panella che «passato da dentro lo avrebbe continuato a colpire: lo testimoniano le lesioni a mani e corpo di Scieri, che gli fanno perdere la presa e precipitare da dieci metri». È questa la ricostruzione che ha portato il pm Crini a contestare l’omicidio volontario aggravato da motivi abietti e futili.
Agli atti dell’inchiesta ci sono anche le spiegazioni delle lesioni riscontrate sulla salma di Scieri in base alla relazione sull’autopsia consegnata dall’anatomopatologa Cristina Cattaneo, consulente incaricata dagli inquirenti di valutare le ferite sul cadavere che è stato riesumato circa un anno fa dal cimitero di Noto. «In particolare – hanno spiegato gli inquirenti – una ferita al piede compatibile con un colpo ricevuto con un mezzo penetrante, un corpo contundente, che gli perfora l’arto. E quelle alle mani – hanno aggiunto – che noi riteniamo compatibili con i pestoni subiti mentre Scieri tenta di arrampicarsi sulla torretta scalando a mani nude dall’esterno e, secondo noi, inferti da Panella».
Tre ex commilitoni indagati per omicidio volontario in concorso, con l’aggravante dei motivi futili e abbietti, e due ex ufficiali con l’accusa di favoreggiamento. «A mio figlio Emanuele, che era laureato in giurisprudenza e voleva fare l’avvocato, ora dico che finalmente stiamo facendo giustizia sulla sua morte», ha commentato Isabella Guarino, la mamma di Emanuele. Per il fratello Francesco «la ricostruzione della morte corrisponde a quello che ci siamo sempre immaginati, e cioè che Emanuele non si era suicidato ma che era stato assassinato da qualcuno dopo essere stato inseguito su quella torretta per sfuggire alle violente percosse subite».
Sulla vicenda è stata aperta anche una parallela inchiesta della procura militare che, due settimane fa, ha chiesto il rinvio a giudizio per i tre ex caporali accusati di violenza a inferiore mediante omicidio pluriaggravato in concorso. L’udienza preliminare è stata fissata a Roma per il prossimo 17 luglio.