Intervista a Guido Zichittella, da Marsala a Milano e poi a Zurigo. «Ero venuto qui in Erasmus e ci sono rimasto». Forbes lo ha inserito nello speciale elenco per il suo lavoro sulla lavorazione del gas naturale. I No Triv? «L'Italia ha bisogno di energie proprie»
Un marsalese tra i giovani scienziati più influenti al mondo «I miei studi sul gas, via di mezzo tra petrolio e rinnovabili»
Da Marsala a Milano. E poi Zurigo, partito per trascorrere sei mesi in Erasmus, e invece rimasto al politecnico svizzero da ormai cinque anni. Fino al prestigioso riconoscimento di Forbes, la rivista statunitense di economia che lo ha inserito tra i trenta scienziati under 30 più influenti del mondo per la sua ricerca sulla riduzione di emissione di anidride carbonica dalla lavorazione del gas naturale nel posto in cui si estrae. È la parabola del 27enne Guido Zichittella, uno di quelli che rientra nella categoria dei cervelli siciliani in fuga.
Zichittella, che effetto fa essere tra i giovani scienziati più influenti del pianeta?
«È stata davvero una piacevole sorpresa. Da Forbes nei mesi precedenti mi avevano contattato per approfondire il mio lavoro, ci siamo scambiate molte email, ma non avevo saputo più niente e ritrovarmi in quella lista è stato sorprendente».
Come è finito a Zurigo? Qual è stato il suo percorso di studi?
«Ho fatto le Triennale al Politecnico di Milano e lì mi ero pure iscritto al master. Poi ho deciso di provare l’Erasmus, ho chiesto un consiglio al professor Morbidelli che insegna sia a Zurigo che a Milano, ed eccomi qui. Mi sono innamorato di questa università, delle opportunità che qui offrono e che non avevo in Italia. Ero partito per stare fuori sei mesi, invece ho lasciato il master di Milano e ho fatto domanda per entrare in quello a Zurigo, mi hanno preso e ormai sono qui da cinque anni».
Quali sono le differenze che l’hanno convinta a restare?
«Il Politecnico di Milano è eccellente, ma manca il corso di laurea in inglese. A Zurigo invece ci sono studenti estremamente eterogenei: sono stato in una classe piccola, di trenta persone, dove eravamo due italiani, un australiano, un americano, un messicano, ovviamente svizzeri, austriaci e tedeschi. Questo mix facilita lo scambio di idee ed è una marcia in più».
In cosa consiste il suo lavoro di ricerca adesso?
«Mi occupo di valorizzare il gas naturale. Con altri colleghi stiamo cercando di creare una tecnologia in grado di convertire i componenti principali del gas, il metano e il propano, in prodotti chimici. E di farlo nello stesso posto dove il gas viene estratto, creando un impianto che abbia una grandezza utile a essere trasportato su un mezzo a due ruote o, a lungo termine, su una piccola nave».
In che modo lavorare il gas nel posto in cui viene estratto aiuterebbe l’ambiente?
«Oggi il gas naturale deve essere trasportato attraverso i gasdotti in impianti di produzione di energia o di prodotti chimici. Il trasporto del gas è estremamente difficile e costoso rispetto a quello di petrolio, perché è meno denso. A volte i costi sono talmente alti che quello in eccesso conviene bruciarlo sul posto di estrazione, sostanzialmente conviene sprecarlo. È un processo che si chiama flaring. Avete presente quando vediamo quelle torce accese in alto agli impianti, quelle fiamme in aria? Ecco, quello è il flaring. Si stima che nel mondo il 3,5 per cento di tutto il gas naturale estratto viene sprecato così: ogni anno mandiamo letteralmente in fiamme 13 miliardi di dollari e questo produce 350 milioni di tonnellate di anidride carbonica ogni anno. Noi vorremmo eliminare spreco e inquinamento, in questo l’ambiente ci guadagna».
Il tema dell’estrazione e del trasporto del gas è molto sentito in Sicilia dove un variegato movimento si oppone all’estrazione tanto del gas quanto del petrolio nel Mediterraneo. Lei che ne pensa?
«Io credo che servirebbe una normativa internazionale che metta dei limiti alla possibilità di bruciare i gas naturali. Ma allo stesso tempo credo che gas e petrolio siano un’opportunità, perché dove ci sono queste materie c’è ricchezza, ma dipende da come vengono estratti. Oggi ci sono le tecnologie per farlo in piena sicurezza anche ambientale, solo che spesso vengono scartate perché più costose. È qui che la politica deve intervenire, per obbligare l’uso di questi mezzi. L’Italia non può continuare a importare dall’estero così tante risorse energetiche. E in questo contesto il gas naturale è considerata la risorsa naturale che farà da tramite nell’era di passaggio tra petrolio e tecnologie sostenibili. È la terra di mezzo in cui io lavoro».
Com’è l’Italia vista da fuori in questo periodo?
«Ai miei occhi e a quelli dei colleghi stranieri con cui lavoro l’Italia appare sempre molto caotica, soprattutto dal punto di vista politico. È sempre un paese con potenzialità e talenti enormi che non vengono sfruttati».
Che rapporto ha con la Sicilia e con la sua città, Marsala?
«Dal punto di vista sentimentale mi porto nel cuore Marsala, i suoi paesaggi, il suo mare. Dal punto di vista della carriera non credo di poter tornare in Sicilia. Credo invece di poter aiutare da fuori la Sicilia a fare qualche passo avanti. Un po’ come ha fatto Martina Ferracane (altra giovane siciliana inserita l’anno scorso da Forbes tra i migliori giovani innovatori del pianeta in campo medico ndr) con il suo Fab Lab Western Sicily, portando progetti di educazione digitale in varie scuole dell’Isola. Ecco, io credo che pensare ad azioni concrete come queste, anche restando fisicamente lontanti, sia molto più possibile».