La giovane tunisina fu uccisa a colpi di bastone dal marito, poi condannato all'ergastolo, il 4 settembre del 2015. Adesso il regista messinese Fabio Schifilliti ha deciso di raccontare la sua storia, girando tra il Marocco e la città dello Stretto
Un film su Omayma, mediatrice culturale uccisa a Messina «A casa era inerme al marito, fuori un riferimento per tutti»
La storia di Omayma Benghaloum, la giovane mediatrice culturale uccisa a Messina a colpi di bastone dal marito condannato all’ergastolo in appello, diventerà un film. A dirigerlo sarà il regista messinese Fabio Schifilliti che ha avuto l’idea di raccontare in un cortometraggio gli ultimi giorni di Omayma. La pellicola sarà girata tra Messina e il Marocco.
«Si tratta di una coproduzione italomarocchina – spiega Schifilliti – che grazie al sostegno anche di tanti sponsor privati mi permetterà di racconterà le speranze, i sogni, i l timori di Omayma. Quello che mi ha colpito di lei è che è come se avesse avuto una doppia vita. Dentro le mura di case era inerme di fronte a un marito che la trattava male e la colpevolizzava perché non gli aveva dato un figlio maschio. Geloso del ruolo che lei si era costruita. All’esterno era un punto di riferimento per gli altri migranti. Era brillante e determinata».
Omayma fu uccisa dal marito con diversi colpi di bastone il 4 settembre del 2015 al culmine di una lite. L’uomo, come ricostruito dagli investigatori della polizia di Stato non tollerava che la donna mancasse da casa per lavorare con i migranti. Quella sera, dopo averla uccisa, prese le bambine e andò a costituirsi al commissariato Nord, dove la moglie lavorava ed era conosciuta da tutti.
La parte di Omayma è già stata affidata ad una famosa attrice francese che somiglia molto ad Omayma. Schifilliti non è nuovo a tematiche sociali. Ha vinto molti premi durante la sua carriera. L’ultimo suo film, Al di là del mare, realizzato nel 2016, si occupa proprio dei migranti e racconta la storia immaginaria di un minore non accompagnato che con la musica riesce a superare qualsiasi barriera.
«Mi piace raccontare storie incentrate sulla psicologia delle persone, sulle relazioni umane – spiega il regista – e sulle scelte che spesso comportano rinunce. Omayma a chi le chiedeva il perché non lasciasse il marito, spiegava che non voleva fare un torto alle sue figlie. Il marito infatti era un padre amorevole con le quattro bambine, ma non lo era con lei».
Il cortometraggio è stato scritto a quattro mani con Paolo Pintacuda, figlio di Mimmo, fotografo siciliano e maestro di Giuseppe Tornatore. «Il primo ciak sarà tra marzo e aprile. Gireremo in Marocco, che ci sta offrendo una collaborazione, per riprodurre la vita di Omayma quando era piccola e si trovava in Tunisia e poi a Messina sul lago di Ganzirri, che per la prima volta verrà portato sul grande schermo».