È stato assolto l’editore ex monopolista dell’informazione Mario Ciancio Sanfilippo, a processo per concorso esterno in associazione mafiosa davanti la prima sezione penale del tribunale di Catania. Il dispositivo è stato letto alle 12.39 dal presidente Roberto Passalacqua in un’aula del secondo piano. La formula scelta è quella «perché il fatto non sussiste». Fissato il […]
Foto di Marta Silvestre
Assolto Mario Ciancio Sanfilippo. Era accusato di concorso esterno in associazione mafiosa
È stato assolto l’editore ex monopolista dell’informazione Mario Ciancio Sanfilippo, a processo per concorso esterno in associazione mafiosa davanti la prima sezione penale del tribunale di Catania. Il dispositivo è stato letto alle 12.39 dal presidente Roberto Passalacqua in un’aula del secondo piano. La formula scelta è quella «perché il fatto non sussiste». Fissato il termine di 90 giorni per il deposito delle motivazioni. «Siamo comunque soddisfatti perché Ciancio è andato a giudizio in una città che non voleva che ciò avvenisse. È stata affermata una verità storica e siamo indifferenti sul suo destino giudiziario», spiega a MeridioNews Dario Montana, parte civile nel processo insieme al fratello Gerlando, attraverso l’avvocato Goffredo D’Antona. «Il processo è stato frutto di un percorso attento e particolare e con questo dispositivo viene restituita dignità a Ciancio», spiegano all’uscita gli avvocati Carmelo Peluso e Francesco Colotti, difensori dell’imprenditore.
La carta d’identità dice 91 anni. Quasi un secolo di storia per uno degli uomini più potenti della Sicilia e non solo. Dall’informazione agli affari legati ai centri commerciali, passando una ricca eredità, la fitta rete di relazioni, con politici, ministri ma non solo, e quella passione totalizzante per l’arte e i reperti antichi. In mezzo le vicende giudiziarie e il fardello della pesante accusa di concorso esterno in associazione mafiosa all’ombra della famiglia di Cosa nostra dei Santapaola-Ercolano. Ciancio, volendo provare a essere sintetici, è tutto questo. Oggi al palazzo di giustizia di piazza Giovanni Verga c’è sta la lettura del dispositivo con la sentenza del processo di primo grado di un processo durato cinque anni e a cui l’editore non ha mai risposto «presente» all’appello iniziale del presidente Roberto Passalacqua.
Nei confronti dell’editore ed ex direttore del quotidiano La Sicilia la procura di Catania aveva chiesto, il 20 marzo 2023, la condanna a 12 anni, la confisca dei beni per un ammontare di 40 milioni di euro e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Per arrivare alla requisitoria dei pubblici ministeri, Agata Santonocito e Antonino Fanara, bisogna ricordare alcune tappe di una vicenda giudiziaria lunga 15 anni e in cui si sono alternati tre procuratori capi: Enzo D’Agata, Giovanni Salvi e, infine, Carmelo Zuccaro. Nel 2012 – tre anni dopo l’inizio delle indagini – era stata la stessa procura a chiedere l’archiviazione del fascicolo nei confronti di Ciancio. Scenario respinto con la decisione del giudice per le indagini preliminari Luigi Barone di effettuare un supplemento di indagini. Tre anni dopo la procura cambia idea e decide di chiedere il rinvio a giudizio dell’editore ma a pensarla diversamente è la giudice Gaetana Bernabò Di Stefano. Nel 2015 dispone il non luogo a procedere nei confronti dell’editore con una sentenza che sollevò un polverone all’interno dello stesso ufficio gip di Catania. Oggetto del contendere le valutazione di Bernabò Di Stefano sull’inesistenza del reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Tesi mal digerita che portò la procura a impugnare la sentenza in Cassazione. I giudici ermellini il 14 settembre 2016 annullano il proscioglimento di Ciancio e rimandano tutto alla fase dell’udienza preliminare.
L’1 giugno 2017 è la giudice Loredana Pezzino a disporre il rinvio a giudizio. L’editore, ex monopolista dell’informazione, in aula non si vede mai ma in sua difesa parlano i suoi avvocati: Carmelo Peluso, Francesco Colotti e Giulia Bongiorno. Ciancio si affida invece a una dichiarazione rilasciata all’Ansa – di cui è stato vicepresidente e che ha gli uffici nello stesso palazzo de La Sicilia -: «Non ho dubbi che sarò assolto da ogni addebito», dice. Si arriva così al processo, cominciato a marzo 2018. Decine di testimoni, pentiti e verbali vengono passati in rassegna. In aula vengono ripercorse tutte le vicende legate ai grandi affari. Da quello legato alla costruzione dell’ospedale Garibaldi-Nesima passando per il Piano urbanistico attuativo di Catania e l’intercettazione, svelata da MeridioNews e poi approdata in commissione antimafia nazionale, tra l’editore ed Enzo Bianco. Ci sono anche i centri commerciali: Porte di Catania, Sicily Outlet Village, Tenutella e Mito. Sotto la lente d’ingrandimento pure la linea editoriale del quotidiano di cui Ciancio è stato per decenni direttore e padrone. I casi più noti sono la lettera del capomafia Vincenzo Santapaola, figlio di Nitto, pubblicata senza filtri mentre si trovava sottoposto al regime del carcere duro, ma anche il caso del pentimento del sicario Maurizio Avola e il mancato necrologio del commissario Beppe Montana, ucciso dalla mafia nel 1985 a Santa Flavia, in provincia di Palermo. I fratelli del poliziotto, Dario e Gerlando, si sono costituiti parte civile nel processo attraverso l’avvocato Goffredo D’Antona. Le altre parti civili sono state l’associazione Libera, l’ordine dei giornalisti di Sicilia, il Comune di Catania e l’associazione SOS Impresa.