Sono otto i testi ascoltati nell'udienza di ieri in Corte d'Assise a Pisa. Quelli tuttora in servizio hanno negato la possibilità di diffondere l'immagine del loro volto. Imputati per l'omicidio volontario del parà siracusano sono due ex caporali
Processo Scieri, sentiti commilitoni che trovarono il cadavere «La mia fidanzata mi disse: “Non ci vai più in quella caserma”»
Dal viaggio di trasferimento da Firenze in pullman – con gli allievi parà costretti a stare seduti nella posizione della sfinge – al ritrovamento del cadavere di Emanuele Scieri sotto la torretta di asciugatura dei paracadute all’interno della caserma Gamerra di Pisa. Hanno coperto un arco temporale di tre giorni le domande rivolte agli otto testi sentiti ieri in Corte d’assise durante l’udienza del processo con rito ordinario per l’omicidio volontario aggravato del 26enne siracusano avvenuto nell’agosto del 1999. Sul banco degli imputati ci sono gli ex caporali Alessandro Panella e Luigi Zabara, quest’ultimo presente in aula. Nel procedimento con rito abbreviato sono stati assolti in primo grado il sottufficiale dell’esercito Andrea Antico per lo stesso reato e gli ex ufficiali della Folgore Enrico Celentano e Salvatore Romondia che erano accusati di favoreggiamento. La procura ha già presentato l’appello.
«Perché in quei tre giorni Scieri non è stato cercato?», e poi «era possibile restare a dormire in caserma anche quando si era in licenza?». Questi sono i due quesiti fondamentali posti ai testi, nelle quasi otto ore di udienza, davanti alle telecamere della trasmissione Un giorno in pretura (le uniche a essere state ammesse alle riprese che andranno in onda a conclusione del procedimento). Di quelli che sono ancora in servizio, però, il volto non si vedrà perché non hanno concesso la possibilità di diffonderne l’immagine. È il caso di Francesco Infantino, il caporale istruttore che era di servizio il giorno in cui i quattro commilitoni ritrovano il corpo senza vita di Scieri (il 16 agosto). È uno dei primi ad arrivare sotto la torretta e lì resta a lungo di piantone: ha raccontato di ricordare l’arrivo di Celentano che alla Gamerra non si ferma molto, mentre, nelle diverse occasioni in cui è stato sentito a partire dal 2000, non ha mai parlato della presenza di Romondia lì.
«Durante queste prime udienze del dibattimento – commenta a MeridioNews l’avvocata Alessandra Furnari che, insieme al collega Ivan Albo, assiste la madre e il fratello di Scieri che sono parte civile – stanno emergendo piccoli dettagli ma fondamentali per ricostruire quanto avvenuto». Ed è così per le testimonianze dei quattro commilitoni – Marco Parodi, Marco Ravasi, Carlos Picelli e Walter Raggiri – che, mandati a pulire e fare ordine proprio in quell’area della caserma, trovano il cadavere. Da lontano, pensano possa trattarsi di un manichino; avvicinandosi si rendono conto che è un corpo e suppongono sia un senzatetto, perché Scieri è in abiti civili. È poi Picelli, commilitone che era uscito con lui proprio la prima sera, a riconoscerlo facendo attenzione a un accessorio: il marsupio. Sono loro a bussare alla fureria e informare Infantino che era di servizio all’ufficio militare.
A descrivere Scieri come un «ragazzo serio e con la testa sulle spalle» è stato Gianluca De Silvestris, il caporale di giornata che effettua il contrappello la sera del 13. Quello in cui il parà viene segnato come «mancato rientro». Nel suo ruolo di supervisore, quello stesso giorno in cui le reclute arrivano alla caserma Gamerra, De Silvestris è incuriosito da Scieri: dall’elenco vede che era l’unico laureato e ricorda di avergli anche chiesto quale fosse stato il suo voto di laurea. Da diverse testimonianze è emerso che la mattina dopo che Scieri non ha risposto al contrappello (era già morto dentro la caserma) Romondia comincia a cercare il suo numero di cellulare. Un circostanza riportata anche dal commilitone Stefano Vigneri, che era in licenza: l’uomo riceve la telefonata dell’allora aiutante maggiore che chiede a lui il contatto. Due giorni dopo lo chiamano per comunicargli che Lele è morto: «Non ci ho creduto, ho pensato fosse uno scherzo», ha detto. Capisce che è vero poco dopo quando a raccontarglielo è uno dei commilitoni che hanno trovato il cadavere. «Non abbiamo mai pensato a un suicidio e nemmeno a un incidente dovuto a una prova di forza. Ero sotto casa con la mia fidanzata dell’epoca, oggi mia moglie, che mi disse subito: “Tu non ci vai più in caserma“». Nel corso della prossima udienza, che è già stata fissata per sabato 11 giugno, tra i testi ci sarà anche il supertestimone Stefano Viberti.