Scieri, testimone in commissione d’inchiesta Da Viberti contraddizioni e tanti «non ricordo»

«Non ricordo». È questa la frase più pronunciata da Stefano Viberti, il super-testimone che lunedì è stato ascoltato per la prima volta dalla commissione parlamentare di inchiesta sulla morte del militare siracusano Emanuele Scieri.

Quello di Viberti, che è l’ultima persona ad aver visto viva la vittima, è un racconto fatto con lo sguardo sempre basso e costellato di vuoti memoria e contraddizioni, sebbene in apertura la presidente Sofia Amoddio gli abbia ricordato che può provare a ripercorrere l’intera vicenda senza timori perché eventuali reati di falsa testimonianza sarebbero ormai prescritti.

Oggi fa il montatore meccanico, convive e ha un figlio di tre anni. Sentito numerose volte dai magistrati, Viberti ha precisato all’inizio dell’audizione di aver «sempre detto la verità e di non aver mai tenuto nascosto nulla di quello che era possibile dare come informazione. Eppure purtroppo – ha sottolineato – ho dovuto subire giudizi sbagliati su di me e non è stato facile passare per un reticente. Io garantisco – ha affermato l’ex commilitone – che non ho nulla da nascondere e che tutto quello che ho detto, l’ho detto con il cuore in mano in modo che si potesse venire a una spiegazione di questa brutta vicenda».

Il servizio militare per lui era cominciato il 21 luglio del 1999 presso la caserma Lupi di Toscana a Scandicci, dove aveva trascorso circa 25 giorni prima dell’ingresso nella caserma dei paracadutisti a Pisa. «In quei giorni io non avevo conosciuto Scieri – ha raccontato Viberti -. Non eravamo legati e il primo nostro contatto è stato proprio la sera del 13 agosto quando siamo usciti insieme anche a un altro commilitone. Prima di allora non avevamo mai avuto modo nemmeno di scambiare due parole».

È questo il punto che l’onorevole Amoddio ha contestato ricordandogli che il 31 luglio del 2000 era stato lui a dichiarare di conoscere molto bene Scieri già dai tempi di Firenze. Versione ribadita il 31 marzo del 2000, in un altro interrogatorio, quando aveva detto agli organi inquirenti che erano usciti insieme varie volte, andando anche a mangiare una pizza. In quelle occasioni, lo aveva addirittura descritto come un ragazzo serio e brillante. Ma Viberti, adesso, non ricorda. «In questo momento non ho grandi ricordi di cose precise da potervi raccontare – ha ribadito il commilitone che con Scieri divideva anche la stanza in quella caserma – e, quindi, passerei alla prima sera quando abbiamo avuto qualche ora di libera uscita e abbiamo girato per la città di Pisa per poi, rientrati in caserma, fumare una sigaretta lungo un viale antistante le compagnie vicino alla torretta. Non ricordo parole fra noi – ha proseguito – fino a quando Scieri mi ha detto che, prima di rientrare in camerata, doveva fare una telefonata». 

Viberti va avanti nel suo racconto, descrivendo ciò che secondo lui sarebbe accaduto dopo che Scieri si allontanò. «Durante l’appello venne detto da un altro commilitone che Scieri era rientrato in caserma ma non nella camerata – ha sottolineato il testimone -. Il mattino dopo non ricordo particolare allarmismo nel cercarlo, nemmeno da parte degli ufficiali. Noi non avevamo un rapporto di confidenza tale per cui avere grande preoccupazione – ha aggiunto -. Infatti, non ho sentito l’esigenza di andare a cercarlo. La preoccupazione più grande quel giorno era quella di adeguarsi alle nuove direttive di quel luogo». Una calma che avrebbe contraddistinto anche i giorni successivi. «La situazione sembrava tranquilla – ha concluso Viberti – e non ci eravamo fatti idee particolari se non quella sulla quale abbiamo anche scherzato nei giorni seguenti: che Scieri fosse uscito di nuovo dalla caserma». A questo punto, la presidente della commissione decide di secretare il seguito della seduta. 

Leggi il dossier sul caso Scieri


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