Si è concluso con un convegno dedicato al teatro il ciclo di incontri su Siddharta di Herman Hesse, organizzato alla Facoltà di Lettere e Filosofia in concomitanza con la pièce diretta da Lamberto Puggelli. Si è parlato di linguaggio, spiritualità, narrazione e incontro con l'altro. Cardine della giornata, un'intervento sulla riapertura del Teatro Machiavelli, chiuso al pubblico da quasi un secolo
Il teatro come Siddharta: saggezza e civiltà
È stato interamente dedicato al teatro l’ultimo incontro del convegno I mille volti di Dio. ‘Siddharta’ di Hermann Hesse e il dialogo interreligioso, organizzato dalla Facoltà di Lettere, il dipartimento interdisciplinare di Studi europei (Diseur) e dall’associazione Ingresso libero e tenutosi in concomitanza con il debutto a Catania dello spettacolo “Recitazione di Siddharta” di Lamberto Puggelli. Un’occasione anche per parlare e raccontare la storia del Machiavelli, storico teatro dell’Opera dei pupi chiuso da novant’anni e riaperto al pubblico appositamente per la messa in scena della rappresentazione puggelliana.
A differenza dei primi due momenti del seminario, incentrati su una figura di Siddharta più spirituale e sul dialogo interreligioso in senso stretto, quest’ultimo incontro, tenutosi lo scorso mercoledì al Monastero dei Benedettini, “ha un taglio teatrale – come spiega la professoressa Grazia Pulvirenti – perché vuole dimostrare come il teatro sia un luogo deputato affinchè l’incontro con l’altro sia vivo e formale allo stesso tempo“. E proprio questo filo rosso che lega il teatro alla spiritualità dell’incontro e della conoscenza di se stessi e dell’altro seguono i quattro interventi dei relatori, collegati tra loro dal personaggio hessiano.
Cardine di quest’ultima parte del convegno su Siddharta, dal punto di vista della teatralità, è stato sicuramente il contributo dedicato alla riapertura di un luogo suggestivo come lo storico Teatro Machiavelli, sottratto alla città di Catania per quasi un secolo. A raccontarci la sua storia e il suo passato glorioso è stata la professoressa Bernardette Majorana dell’Università di Bergamo, esperta di tradizioni dei teatri catanesi dell’Ottocento e dell’Opera dei pupi. La docente ha presentato una relazione dal titolo Notizia di un luogo amato. Il Teatro Machiavelli a Catania.
Il teatro -come racconta la Majorana- è stato fondato da Don Angelo Grasso, noto puparo catanese, nel 1864, il quale affittò i locali del sotterraneo di Palazzo San Giuliano per dare vita al suo teatrino dell’Opera dei pupi. Don Angelo, grazie alla sua maestria, ebbe sempre crescente successo, diventando uno dei pupari più importanti di Catania, e il suo teatrino uno dei più amati dal pubblico e dalla critica. Nel 1881 si ribattezza il teatro col nome di “Machiavelli” e all’Opera dei pupi aggiunge gli spettacoli di compagnie di attori in carne ed ossa. Alla morte di Don Angelo, è il figlio Giovanni a portare avanti la tradizione pupara. Scoperti, però, la passione il talento per la recitazione drammatica, Giovanni Grasso, nel 1897, abbandona i pupi per formare la propria compagnia teatrale, che renderà il Machiavelli famosissimo in tutta Europa, osannato dalla critica e dai maggiori registi. Il teatro e la sua compagnia diventeranno “la chiave di volta del teatro siciliano”, in cui debutteranno attori del calibro di Carmelina Tria e Angelo Musco. Nel 1912, tornato a Catania dopo una tournée mondiale, Giovanni Grasso scioglie la compagnia e chiude il Teatro Machiavelli che, nel 1918, insieme all’intero Palazzo San Giuliano, verrà venduto al Credito Italiano. “Dal 1864 al 1912 il teatrino è stato un perno della città. Oggi, a quasi cento anni di distanza -si augura la professoressa Majorana- vorremmo che ritornasse ad essere un luogo amato dalla città, anzi, un luogo necessario“. Perché, “la civilizzazione di un Paese si riconosce dall’esistenza di un teatro”.
Di altro taglio l’intervento del professor Marino Fresco, docente di Letteratura tedesca all’Università di Roma 3, incentrata sul capolavoro hessiano: “Siddharta va al di là della dialettica e può essere letto come un grande breviario di saggezza” spiega. Fresco si è soffermato a lungo sul linguaggio e la scrittura, che definisce “romantica”. Secondo lui, infatti, “tutta l’esplosività hessiana viene filtrata da un linguaggio ottocentesco. La lingua di Hesse è una delle più ancorate alla tradizione del romanticismo, nonostante sia stato scritto negli anni venti del Novecento, dal grande impatto sentimentale“.
Il secondo contributo al convegno è quello di Stefania Rimini, docente di Storia del teatro e dello spettacolo all’Università di Catania, la quale ha condotto uno studio approfondito su Recitazione di Siddharta, dal titolo Una maschera d’acqua: le mutevoli forme del narrare nel Siddharta di Puggelli, in cui sostiene che “lo spettacolo va ben oltre la narrazione perché non è una semplice trasposizione teatrale, ma una verifica, uno studio sulle possibilità del teatro“.
Incentrato sul concetto di metamorfosi è, invece, l’intervento della professoressa Lorella Bosco dell’Università di Bari, che presenta un’attenta riflessione sul concetto di spazio teatrale come luogo di metamorfosi dell’io e di incontro con l’altro, prestando particolare attenzione alla dimensione performativa del testo narrativo e teatrale, fornendone uno spaccato multidisciplinare. Nella sua relazione, Bosco definisce il teatro come “un medium, uno spazio di relazione tra la funzione referenziale e quella performativa, che concerne l’azione degli attori e del pubblico. La teoria performativa – spiega la prof – si adatta alla metamorfosi in quanto superamento dei ruoli definiti, tra segno e referenza. Al centro dell’attenzione c’è l’agire. La teoria performativa, in termini di metamorfosi, vede l’identità e l’alterità come categorie complementari in relazione dinamica tra loro“.