Gloria Peritore ha iniziato a praticare lo sport di lotta sei anni fa, quando ne aveva 21. «Non sapevo nemmeno la differenza tra kick e boxe». Negli ultimi due anni ha vinto tutto quello che c'era da vincere. Non senza passare per momenti difficili. Ed è tornata ad amare la sua città, Licata. «Qui, ora mi apprezzano». Guarda le foto
Peritore sul tetto del mondo nella kickboxing «La paura? È ciò che ti dà la giusta tensione»
«Siamo una generazione di uomini cresciuti da donne». A sostenerlo sono, guarda caso, i protagonisti di Fight Club, pellicola dedicata ai combattenti, sia sul ring che nella vita. Sembra proprio questo il caso di Gloria Peritore, classe 1988, licatese, operatrice nel settore della moda e sul tetto del mondo nella kickboxing. Una storia anomala; una favola, come la definisce il suo maestro Paolo Morelli; il racconto di chi vince, e lo fa, ogni volta, «nettamente». Campionessa del mondo, mattatrice perfino a Oktagon – manifestazione da oltre 20 anni riferimento in Italia per il settore – il suo cammino parte da lontano.
Ma da piccola ci andavi a danza? «Per un mese, poi ho avuto paura della sbarra». Undici anni: è il periodo che l’attuale campionessa ha dedicato alla pallamano, disputando vari campionati in serie A2 e raggiungendo buoni risultati come ala destra, assieme alla sorella Giorgia. Poi va a studiare a Firenze, dove non trova una squadra; è, dunque, costretta ad allenarsi per due anni a Pontassieve: disputa due partite, poi decide di ripiegare sulla palestra. «Ho provato a fare pilates per un mese, ma stavo ammazzando tutti». Gloria è dolcissima, lo capisci dallo sguardo: ciò che la anima, e che si potrebbe definire socraticamente daymon, è lo spirito del guerriero. Forse si chiama resilienza: Gloria, come alcuni materiali studiati in fisica, riprende la propria forma originaria dopo aver subito il colpo. È forte, vitale, determinata, ma soprattutto vuole vincere. E il fatto che la sua vicenda sportiva sia intrecciata a quella umana, la rende unica.
A 21 anni decide di praticare uno sport individuale, lo cerca su Google, e lo intraprende così, «a caso». «Non sapevo nemmeno la differenza tra kick e boxe. Chiesi al mio attuale maestro (Morelli, il quale sostiene che ci sono persone che, come Gloria, nascono per combattere) se la mia età fosse troppo avanzata per cominciare. Mi rispose di no: feci il mio esordio nel light contact nel novembre del 2010, e il giorno prima del mio compleanno vinsi due incontri su tre». Ma le favole non sono tali solo per il lieto fine. Il primo incontro nel contatto pieno va malissimo: si conclude dopo il primo round per abbandono di Gloria che, forse per la prima volta, inizia a fare i conti con la paura. «Stavo vincendo, ma subii un colpo che mi spaventò da morire». A questo punto il maestro fa, appunto, il maestro: «Occorre scegliere se lottare o abbandonare». Gloria allora, per dirla con Andrea (il suo ragazzo, conosciuto in palestra e campione di boxe), «ha deciso di non perdere più».
Non ci sono avversarie nella sua categoria e inizia a combattere nei 62 chili, nonostante i suoi 54 chili; perde la prima, ma si sblocca, cambia carattere. Da qui in poi è una scarica di colpi: campionessa italiana nel light e nel contatto pieno nel 2012; al vertice mondiale sempre nello stesso anno; esordio da professionista nel 2013 (significa che togli tutte le protezioni e che ti pagano); oro in Spagna nel 2014 ai campionati mondiali. Fino alla rivincita e alla consacrazione. La prima arriva nel momento in cui sfida la stessa avversaria davanti alla quale aveva abbandonato nel 2012, e ha dell’incredibile: due giorni prima Gloria si infortuna alla tibia, non cammina, ma combatte lo stesso e vince su una gamba sola. È disarmante la schiettezza e la semplicità con cui l’atleta racconta i propri drammi sportivi; ed è altrettanto sconvolgente la ristrettezza dei tempi in cui, come si diceva, matura l’investitura ufficiale: nell’edizione 2015 di Oktagon, Gloria Peritore diviene la seconda donna in assoluto a vincere il galà più importante a livello mondiale per queste discipline.
Cos’è la paura? «È un insieme di cose, è ciò che ti da la giusta tensione. Quando ho paura sto più attenta». «A volte non siamo noi a scegliere il ring, ma viceversa – continua il maestro – e Gloria è stata scelta ancora prima di iniziare a lottare». Forse quando era a Licata, città con la quale ha, proprio adesso, riallacciato i rapporti: «Qui, ora, mi apprezzano, mi fanno sentire il proprio calore anche a distanza». Forse la campionessa vive più serenamente il luogo in cui è nata perché al suo fianco, oltre ai genitori che la seguono sempre (anche se la madre, dopo il sanguinolento Oktagon, ha esclamato un sonoro «non vengo più»), c’è Andrea Piccolo, pugile da 14 match disputati: tre persi, uno pareggiato e tutti gli altri vinti. A quanto pare nessuno vuole combattere con lui nei superwelter, mentre Andrea sogna di fare questo lavoro in America. Nel suo sogno a stelle e strisce, ovviamente, c’è anche Gloria: «Stiamo assieme da un anno e otto mesi, e qualche volta ci meniamo».