«Povera ragazza, però non aveva denunciato». Sono le parole utilizzate dagli inquirenti e dal procuratore capo durante la conferenza stampa del femminicidio di Sara Campanella. La 22enne ammazzata a coltellate in strada a Messina da Stefano Argentino, un collega universitario di 27 anni che durante l’interrogatorio di garanzia ha confessato il delitto. «Ancora una volta, […]
Femminicidio Sara Campanella, centro antiviolenza: «Essere morta è forse colpa sua per non aver denunciato?»
«Povera ragazza, però non aveva denunciato». Sono le parole utilizzate dagli inquirenti e dal procuratore capo durante la conferenza stampa del femminicidio di Sara Campanella. La 22enne ammazzata a coltellate in strada a Messina da Stefano Argentino, un collega universitario di 27 anni che durante l’interrogatorio di garanzia ha confessato il delitto. «Ancora una volta, sono dichiarazioni che spostano la responsabilità sulla vittima – commenta a MeridioNews Anna Agosta, la presidente del centro antiviolenza catanese Thamaia che è anche consigliera del direttivo nazionale di Donne in rete contro la violenza (Dire) – mentre il problema che resta ancora una volta in secondo piano è il sistema di prevenzione che non funziona». Stando a quanto emerso finora dalle indagini, Argentino «si era invaghito della vittima senza essere ricambiato» e che, negli ultimi due anni, avrebbe adottato una «strategia molesta». Nonostante la ragazza avesse «manifestato un fastidio per le attenzioni» nei messaggi scambiati con amiche e colleghe, i comportamenti del 27enne non avevano destato in lei «preoccupazioni tali da portarle a una denuncia».
«Dire che “non si era accorta del pericolo“, come ha fatto il procuratore Antonio D’Amato, è un chiaro processo di rivittimizzazione che, da una parte, minimizza quello che è successo – aggiunge Agosta – E, dall’altra, lascia intendere che l’incapacità sarebbe stata della vittima». E, invece, a essere ancora incapaci sono le istituzioni, è il sistema «che, nonostante alcuni passi avanti siano stati fatti, non riesce ancora a intercettare, a prevenire, ad agire per tempo, a proteggere le donne che, invece, vengono colpevolizzate anche dopo essere state ammazzate», sottolinea la presidente di Thamaia. «Insomma, il punto non è e non può mai essere che lei o qualunque altra vittima – afferma Agosta – non avesse denunciato». Le fossa, infatti, non sono piene solo del senno di poi ma anche di donne che, in effetti, quelle denunce le avevano fatte. Basti pensare a Marisa Leo, la 39enne uccisa a fucilate nel Trapanese a settembre del 2023 dall’ex compagno Angelo Reina; o a Vanessa Zappalà, la 26enne uccisa, sul lungomare di Acitrezza, con sette colpi di pistola dal suo ex compagno Tony Sciuto mentre era già sottoposto al divieto di avvicinamento con il braccialetto elettronico dopo le denunce per maltrattamenti e atti persecutori.
«Serve un impegno concreto da parte delle istituzioni – dichiara Agosta – e non basta un approccio securitario ed emergenziale della questione che dovrebbe essere, invece, affrontata in modo strutturale». Per la presidente del centro antiviolenza, fondamentali sono seri strumenti di prevenzione «che aiutino le donne a prendere consapevolezza e prestare attenzione ad alcuni indicatori di violenza». Laddove sono inutili pene più severe, il braccialetto elettronico o la castrazione chimica, «serve invece finanziare i centri antiviolenza, servono concrete politiche di prevenzione, un’educazione sessuale e affettiva, un maggiore supporto economico alle donne vittime di violenza. In definitiva – conclude la presidente di Thamaia – serve smettere di chiedere alle donne di salvarsi da sole».