Dal centro antiviolenza di Catania a Sanremo: «Oggi molte donne hanno trovato il coraggio di chiamarci»

«Parlare di violenza contro le donne dal palco del Festival di Sanremo è stata una cosa epocale che ha già dato i suoi frutti anche a livello pratico». A parlare a MeridioNews, appena atterrata all’aeroporto di Fontanarossa, è Anna Agosta. La presidente del centro antiviolenza catanese Thamaia che è anche consigliera del direttivo nazionale di Donne in rete contro la violenza (Dire). La realtà che Chiara Ferragni ha scelto non solo di avere accanto sul palco per la prima serata della 73esima edizione del festival della canzone italiana ma anche per devolvere interamente il proprio cachet. Una cifra che si aggira intorno ai 100mila euro e che servirà per «finanziare gli sportelli lavoro dei centri antiviolenza – spiega al nostro giornale Anna Agosta – Uno strumento fondamentale per l’empowerment delle donne che, in questo modo, potranno immettersi nel mondo del lavoro, ricominciare a lavorare o anche studiare per costruire il proprio futuro in piena autonomia». Un passaggio fondamentale, considerato che la violenza economica oggi è la terza più diffusa (dopo quella psicologica e fisica) e che colpisce il 30 per cento delle vittime».

Attenta al tema da tempo, è stata Ferragni a cercare Dire già mesi fa per sostenere le volontarie e condividere un progetto. «Da lì è arrivata – racconta Agosta – la richiesta di condividere la copertina di Vanity Fair e il palco di Sanremo. Noi abbiamo accettato con l’obiettivo fare arrivare i nostri concetti e il nostro messaggio a quante più persone, donne e ragazze possibile». Parole, come quelle della lettera che l’imprenditrice dei social ha scritto alla bambina che è stata, che alcuni hanno definito «trite e ritrite». «E, in effetti – ammette la presidente del centro Thamaia – possono esserlo per chi ha il privilegio di avere consapevolezza e di potersi confrontare su queste tematiche. Per molti, invece, sono parole rivoluzionarie e di ispirazione». Prova ne è il fatto che, già da questa mattina, nella sede del centro antiviolenza catanese il telefono ha squillato con una cadenza insolita. «Molte donne e ragazze – annuncia Anna Agosta a MeridioNews hanno trovato il coraggio di telefonare per raccontarci la loro realtà, proprio dopo avere ascoltato la nostra testimonianza di ieri sera a Sanremo». Dal palco di RaiUno che ieri è stato visto da 10 milioni e 757mila italiani – uno share da record del 62,4 per cento, il più alto dal 1995 con Pippo Baudo – Agosta ha voluto mandare un messaggio semplice e diretto per arrivare dritti al punto: «Una vita libera dalla violenza è possibile. Ma per sconfiggere questo fenomeno c’è bisogno di ogni persona, di tutti e tutte noi che ci assumiamo la responsabilità del cambiamento. Per questo siamo qui».

Lo stesso messaggio che anche Chiara Ferragni ha voluto lanciare a partire pure dalla scelta dei suoi abiti. Dalla stola con la scritta sulle spalle Sentiti libera al vestito con il disegno del proprio corpo nudo fino all’abito contro ogni odio su cui sono riportate le frasi scritte sui social dagli haters. Questo indossato sul palco proprio nel momento in cui accanto a lei ci sono anche le volontarie di Dire, oltre ad Anna Agosta anche Antonella Veltri, Ambra Ghezzi e Cristina Frasca. Loro indossano un pantalone nero, una giacca nera e camicia bianca. Un outfit che da molti è stato definito «maschile». «E anche questi commenti – analizza la presidente di Thamaia – rientrano tra le critiche che ancora troppo spesso vengono fatti alle donne e ai loro corpi». Anche quelli indossati dalle volontarie di Dire erano abiti di Dior, come quelli di Chiara Ferragni. «Una scelta stilistica – precisa Agosta – che rientra pienamente nel messaggio da veicolare. Niente di maschile: l’idea è stata solo quella presentarci su quel palco con un tocco di formalità e una cifra istituzionale».


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