Arriva la condanna a 16 anni e 2 mesi per il santone Pietro Capuana. Alla lettura della sentenza piangono le vittime dell’ultraottantenne ex bancario, accusato di abusi sessuali su diverse giovani, all’epoca anche minorenni. «Le nostre spalle sono larghe. Ma ce l’abbiamo fatta», dicono, insieme alle loro madri. Che hanno denunciato le violenze avvenute nella comunità di […]
Condanna per il santone Pietro Capuana: per i giudici, gli «atti purificatori» erano violenze sessuali
Arriva la condanna a 16 anni e 2 mesi per il santone Pietro Capuana. Alla lettura della sentenza piangono le vittime dell’ultraottantenne ex bancario, accusato di abusi sessuali su diverse giovani, all’epoca anche minorenni. «Le nostre spalle sono larghe. Ma ce l’abbiamo fatta», dicono, insieme alle loro madri. Che hanno denunciato le violenze avvenute nella comunità di Lavina di Aci Bonaccorsi, nel Catanese, di cui Capuana era leader. O, come si diceva, la reincarnazione dell’arcangelo Gabriele, che sulle vittime avrebbe sostenuto di compiere degli «atti purificatori». «Seguo il percorso di queste ragazze fin dall’inizio – commenta a MeridioNews l’avvocato Tommaso Tamburino -. La giustizia è stata lenta, ma implacabile. C’è chi ha ha ritenuto che ci fosse un complotto ai danni di quest’uomo. E invece, oggi, giustizia è stata fatta».
Condannate anche le tre ancelle e sacerdotesse del santone: Katia Concetta Scarpignato (7 anni), Rosaria Giuffrida (9 anni e 4 mesi) e Fabiola Raciti (15 anni e 2 mesi). Quest’ultima ha dichiarato a processo di avere sempre agito «per spirito cristiano ed evangelico». Nessuno degli imputati era presente nell’aula del tribunale di Catania. Tutti sono stati anche interdetti da qualunque ruolo nei pubblici uffici, nelle scuole e nei luoghi frequentati per lo più da minori. Oltre al pagamento delle spese processuali per le parti civili. Gli atti di alcune deposizioni a processo, inoltre, sono stati inviati in procura per falsa testimonianza. «Capuana aveva influenza su altre persone – continua Tamburino – Tra queste, c’è chi non ha mai accettato l’idea che si sia macchiato di questi reati. E, così, ha detto il falso».
In questo modo, a otto anni dagli arresti, si mette il primo punto del processo ribattezzato 12 apostoli. «Dopo un interminabile dibattimento – commenta al nostro giornale l’avvocato Roberto Russo Morosoli – finalmente una sentenza riconosce le ragioni delle parti civili. Ragazze, all’epoca poco più che bambine, vittime di gravissimi reati compiuti da chi avrebbe dovuto educarle e proteggerle. Nessuno – aggiunge il legale di parte civile – potrà mai restituire loro l’infanzia rubata ma, con il loro coraggio, hanno impedito che simili eventi possano essere reiterati».
La difesa del santone Pietro Capuana

Per il santone Pietro Capuana, la pubblico ministero Agata Consoli aveva chiesto una condanna a 16 anni di carcere. Uno in meno per Fabiola Raciti; mentre per Rosaria Giuffrida e Katia Concetta Scarpignato la richiesta era stata di 14 anni di reclusione. Gli avvocati della difesa, invece, puntavano all’assoluzione per tutti gli imputati. All’inizio di ottobre, il difensore di Capuana ha presentato un ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Un documento in cui l’avvocato Mario Brancato denuncia alla Cedu «gravi violazioni dei diritti fondamentali e la mancanza di un giudizio realmente imparziale».
Un anno fa, il legale dell’imputato aveva anche chiesto di sostituire il giudice, presentando un’istanza di ricusazione contro il presidente del collegio giudicante, Santino Mirabella. A causa di un post su Facebook in cui, secondo l’avvocato del santone Capuana, il giudice avrebbe «espresso disprezzo verso coloro che praticano la religione cristiana». Un contenuto che, per la difesa, avrebbe «sollevato dubbi sulla imparzialità di giudizio in un processo in cui la natura religiosa del caso è stata ampiamente dibattuta in aula».
E un ulteriore tentativo in questo senso, l’avvocato Mario Brancato l’ha fatto anche oggi. Proprio all’inizio dell’udienza ha chiesto la parola per sollevare una eccezione sulla regolarità della composizione del collegio giudicante: una delibera del Consiglio superiore della magistratura (Csm) che stabilisce che nel collegio ci può essere solo un giudice applicato fuori dalla sezione di appartenenza. In quello del processo 12 apostoli sono le due giudici Cristina Scalia e Mariaconcetta Gennaro. Dopo una breve camera di consiglio, l’eccezione è stata rigettata. «L’elemento principe per la garanzia dell’imputato a un giusto processo – ribadisce in aula Mirabella – è che a emettere la sentenza siano gli stessi giudici che hanno partecipato al contraddittorio delle parti del dibattimento».
«Ogni imputato ha diritto a essere considerato innocente sino a condanna definitiva – commenta l’avvocato Brancato dopo la sentenza – e a essere giudicato senza preconcetti di colpevolezza, né dentro né fuori dall’aula di giustizia». Il difensore ha già annunciato che farà ricorso in appello perché «riteniamo che, in questo procedimento, non tutti gli elementi siano stati valutati con equità e completezza».
Le testimonianze dietro alla condanna del santone Pietro Capuana
Nel corso del lungo processo di primo grado, al centro di molte udienze ci sono state le parole dei testimoni. Alcuni di loro, all’interno dell’associazione cattolica Cultura e ambiente (Acca), ci sono nati e cresciuti. Molti hanno ammesso la pratica dei baci a stampo in bocca dati dal santone, e diversi hanno confermato l’esistenza di turni – anche notturni – a casa di Capuana. I racconti dei testimoni hanno anche permesso di ricostruire i dettagli delle feste organizzate nella comunità: San Valentino per sole donne e San Giuseppe per soli uomini. Festività con nomi di santi, ma con pratiche profane, secondo i racconti.
C’è poi chi ha riferito di volte in cui «mi addormentavo sul divano e mi risvegliavo sul letto». E chi ha raccontato di essere stato «miracolato» da bambino o aver assistito a fenomeni paranormali da adolescente. «Mi ha chiesto di spogliarlo e di spogliarmi – ha detto in aula una giovane, prima di trasformare il racconto in una parabola sull’aprire il cuore l’uno all’altra – Come se fosse mio nonno, un amico». Che, però, avrebbe mandato diversi «ti amo» via messaggi sul cellulare.
La diffamazione delle vittime: «Ci si vende a un uomo anche per un cellulare»
A maggio sono state condannate in primo grado per diffamazione tre donne vicine alla comunità dell’associazione cattolica Cultura e ambiente (Acca). Si tratta di Epifania Consuelo Torrisi, Valentina Daniela Spadaro e Nunziatina Maria Lo Faro. Le tre, sedute di spalle davanti alle telecamere di Rete 4, avevano offeso madre e figlia che, hanno raccontato le violenze del santone. Formalizzandole in una denuncia, assistite dagli avvocati Tommaso Tamburino e Roberto Russo Morosoli. Una scelta dettata dalla convenienza, insinuavano le donne in tv: «A 12 anni, ci si vende a un uomo anche per avere un telefono – afferma una delle tre intervistate –. Non sono bambine stupide. Perché non possono avere inventato tutto?».
Gli investigatori: un «plagio di massa» durato decenni
Una vicenda venuta fuori dalle mura della comunità nel 2016. Con la prima denuncia di una donna, a cui la figlia aveva raccontato di avere subito degli abusi sessuali da parte di Capuana. Fin da quando aveva undici anni. Subito dopo la denuncia, la vittima era stata avvicinata da una delle componenti del gruppo. Che avrebbe provato a convincerla che quelle violenze fossero «un’esperienza mistica fatta di amore dall’alto». Sottolineando come lei stessa l’avesse sperimentata da giovane. Dopo la prima, altre denunce si sono susseguite da parte di numerose ragazze. Una vicenda che gli inquirenti hanno definito «un plagio di massa, fondato su argomenti di carattere religioso».