Caso Borrometi, Antimafia replica all’attacco di Giarrusso «Senatore difende sistema che ha fatto male alla Sicilia»

Continua a far discutere la richiesta, fatta da alcuni deputati regionali, di indagare sul caso Borrometi. Dopo l’attacco del senatore del Movimento 5 stelle Mario Giarrusso nei confronti del presidente della commissione regionale Antimafia Claudio Fava, arriva la replica dei deputati che fanno parte dell’organismo che nei mesi scorsi si è occupato di due vicende importanti: il caso Montante e il presunto attentato all’ex presidente del Parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci

«Non meriterebbe alcuna considerazione, se non fosse per
alcune fastidiose insinuazioni sul presidente della commissione regionale Antimafia Claudio Fava – dichiarano i deputati Giorgio Assenza, Rosanna Cannata, Nicola D’Agostino, Gaetano Galvagno, Margherita La Rocca Ruvolo, Luisa Lantieri e Giuseppe Zitelli, in merito alle parole di Giarrusso -. L’esponente del M5s accusa Fava e con lui tutta la commissione di aver colpito il giornalista chiedendo le dimissioni del presidente dell’Antimafia. Non vogliamo nemmeno entrare nel merito, tanto ridicole sono le affermazioni e le conclusioni. Tuttavia – prosegue la nota – capiamo la difesa d’ufficio e il riferimento al caso Antoci, inchiesta che è punto di orgoglio di una commissione che con i casi Montante e per l’appunto Antoci ha evidenziato ambiguità e criticità di un sistema di relazioni che ha negativamente condizionato una fase politica della Sicilia». Poco dopo arriva la stoccata: «Evidentemente Giarrusso difende questo stesso sistema, ma è un problema suo. Dal canto nostro, massima solidarietà a Fava e al lavoro collegiale della commissione Antimafia».

Ma cosa aveva detto Giarrusso? Il senatore è intervenuto sabato scorso, definendo la richiesta dei sette deputati regionali – quattro dei quali hanno poi ritrattato la firma – un «vile attacco» a Borrometi con l’obiettivo di «mascariarlo». A Giarrusso, che è tra i politici che maggiormente in questi anni hanno mostrato vicinanza al giornalista, non è andata giù la decisione della Commissione di inviare alle Procure il documento ricevuto dai deputati. Ma si è trattato, più che di una scelta, di una strada quasi obbligata. Può un organismo parlamentare ignorare o decidere di non trattare un documento sottoscritto da otto deputati (presto divenuti sette, fino a rimanere in tre)? E al contrario, avrebbe potuto aprire un’indagine sulla base di una lettera piena di «sentito dire?». Ecco che, dunque, la terza via, a detta di molti esponenti dell’Antimafia regionale, è stata quella di chiedere di verificare se dietro i dubbi dei deputati sottoscrittori ci fosse un qualche fondamento di verità tra gli atti ufficiali delle procure che si sono occupate del caso Borrometi.  

Ma Giarrusso insiste: «Fava – attacca ancora nel post sui social – però avrebbe dovuto chiedere alle Procure notizie sugli estensori della infame lettera e sicuramente ne avrebbe avute di interessanti. Ne ha invece approfittato per usare il suo ufficio per colpire un valoroso collega». Ancora, il senatore pentastellato arriva ad alludere alla figura del padre di Fava, Pippo, morto ammazzato da Cosa nostra, aggiungendo: «Un nome importante per la storia siciliana come quello di Fava non meritava di finire così nel fango associato ai vari Gennuso e Genovese».

Giarrusso ha poi invocato le dimissioni del presidente della Commissione, definendo la gestione del caso Borrometi il secondo passo falso compiuto, «dopo lo sconsiderato attacco ad Antoci». A riguardo di quest’ultimo, va ricordato che la commissione regionale Antimafia ha pubblicato una relazione in cui, in merito a quanto accaduto a maggio di due anni fa sulla strada che collega Cesarò a San Fratello, le ipotesi rimaste in piedi sono tre, definendo quella dell’attentato mafioso-stragista la meno plausibile.


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