Drago, risposta della Corte Europea dei diritti umani Il ricorso «sarà portato all’esame il prima possibile»

C’è un numero dietro la speranza che si possa ancora fare luce sulla morte di Tony Drago, il militare siracusano trovato morto nel cortile della caserma Sabatini Lancieri di Montebello a Roma il 6 luglio 2014. La cancelleria della Corte Europea dei diritti dell’uomo ha ricevuto e assegnato il numero per la trattazione del ricorso presentato dalla famiglia per «imporre allo Stato italiano – come riporta il documento – la riapertura del procedimento penale, in considerazione della chiara violazione dell’articolo 6 Cedu sull’equo processo», e condannare l’Italia per la violazione anche dell’articolo 2: «Le autorità nazionali italiane non sono riuscite a proteggere il diritto alla vita di Drago».

Nella lettera ricevuta dall’avvocato Dario Riccioli che assiste la mamma di Drago, Rosaria Intranuovo, che è la firmataria del ricorso al Cedu viene messo nero su bianco che il caso «sarà portato all’esame quanto prima possibile sulla base dei documenti e delle informazioni fornite». Inoltre, da Strasburgo chiedono di essere informati di «ogni sviluppo significativo». Anche se, di sviluppi non dovrebbero essercene dopo l’archiviazione da parte del giudice per le indagini preliminari nonostante, continua a ribadire la famiglia, le «zone d’ombra non investigate e, oramai, di difficile accertamento». Adesso i familiari «aspettano fiduciosi le valutazioni della Corte europea», fa sapere a MeridioNews il legale. 

Un modo per non arrendersi di fronte alla ricostruzione fatta dal pubblico ministero Alberto Galanti, che aveva già chiesto di archiviare il caso come suicidio, secondo la quale Drago si sarebbe lanciato dalla finestra di un bagno in disuso al secondo piano della palazzina della caserma della Capitale. In prima battuta, la gip aveva rigettato la richiesta e sollecitato nuove indagini per accertare la dinamica della caduta e una nuova consulenza medico-legale. All’archiviazione i familiari si sono opposti anche con una lettera aperta

Dopo la denuncia presentata nell’estate del 2016, nel registro degli indagati vengono iscritti otto militari che, per ordine e grado, avrebbero dovuto impedire la morte del caporale: l’ufficiale comandante di grado superiore Paolo Lorenzi, l’ufficiale di ispezione Giampaolo Torcigliani, il sottoufficiale di picchetto Salvatore Adragna, il sergente di giornata Paolo Esposito, il comandante della guardia Giuseppe Zarbano e i militari addetti al servizio di vigilanza Daniele Marino, Roberto Cucuzza e Simone Lampis, tutti presenti la notte fra il 5 e il 6 luglio 2014 all’interno della caserma Sabatini.

Mosso da una «strana inerzia» della procura dopo l’incidente probatorio in cui periti nominati dal gip avevano escluso l’ipotesi del suicidio, a tre anni dalla morte di Drago, l’avvocato Riccioli aveva chiesto, senza ottenerla, l’avocazione delle indagini al procuratore generale della corte di Appello di Roma. Adesso la speranza di fare chiarezza su questo caso potrebbe arrivare dalla Corte europea per i diritti umani


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