Paolo Borsellino e Marsala «santuario delle cosche» «Sulla massoneria sono i partiti a dover fare pulizia»

«Non chiedete alla magistratura di fare pulizia in questo campo, perché si tratta di una pulizia che dovrebbero fare i partiti al loro interno, senza aspettare che scopriamo il famoso terzo livello. Noi non abbiamo questo compito di far pulizia all’interno dei partiti: le responsabilità penali sono una cosa, l’affidabilità politica o come amministratori è un’altra». Così parlava Paolo Borsellino – di cui oggi ricorre il 27esimo anniversario dell’uccisione – nel dicembre del 1986 davanti alla commissione parlamentare Antimafia. E lo faceva, in qualità di Procuratore di Marsala sotto la cui sfera di competenza rientravano Mazara del Vallo e Castelvetrano, rispondendo alle domande sulla presenza della massoneria nella provincia trapanese. Borsellino proprio in quei mesi era arrivato a Marsala, mentre a Palermo si avviava alla conclusione il primo grado dello storico maxi processo. 

Gli atti fanno parte dei documenti desecretati nei giorni scorsi dalla commissione nazionale antimafia e pubblicati sul sito del Parlamento. Borsellino è all’inizio della sua esperienza trapanese e non ha gli strumenti per evidenziare specifici reati legati alla massoneria di quel territorio. Ma le idee sono già chiare: «Bisogna stare attenti – dice – perché è chiaro che questi circoli esistono ed è chiaro che non è reato partecipare ad uno di essi. A Marsala operava, sino a qualche tempo fa, una società chiamata Stella d’oriente in cui troviamo come soci tutti i componenti della famiglia mafiosa campana Nuvoletta, insieme con Mariano Agate (capomafia poi condannato all’ergastolo anche per la strage di Capaci e morto nel 2013, ndr) e grossi personaggi palermitani. Un’attenzione particolare a queste cose secondo me la dovrebbero dedicare più i politici che non i magistrati. Il magistrato è chiamato all’accertamento e alla repressione dei reati, anche se io non posso fare a meno di dire che si può non commettere un reato, ma trovarsi anche inconsciamente condizionati in una stessa associazione, in uno stesso circolo, anche con fini non specificamente delittuosi, dal punto di vista di un politico o di un amministratore». 

Parole profetiche considerando come, nei decenni successivi, siano emersi i rapporti tra pezzi della massoneria e la politica e, in alcuni casi, anche con Cosa Nostra, come descritto nella sentenza sull’omicidio del giornalista Mauro Rostagno. Più di recente l’attenzione dell’Antimafia regionale si è concentrata su Castelvetrano, dove sono registrate 19 logge dichiarate e dove le ultime amministrazioni comunali (sia le giunte che i consigli) sono fortemente caratterizzate dalla presenza di iscritti alla massoneria. Una situazione che ha spinto il presidente della commissione Claudio Fava a farsi promotore di una legge – approvata a ottobre 2018 ma non del tutto applicata – che impone agli amministratori l’obbligo di dichiarare l’eventuale appartenenza alle logge. 

Un territorio complicato quello Trapanese. Borsellino, arrivando a Marsala, ne mostra piena coscienza. «A Marsala – dice nell’audizione del 1986 – non ci sono mafiosi o cosche mafiose in collegamento con Trapani o con Palermo, qui c’è Cosa nostra, come c’è a Palermo. Mariano Agate gestiva una raffineria di droga mai trovata. Questo, però, non significa che non vi fosse. Mazara del Vallo era una delle principali basi di appoggio di Luciano Liggio. Questa zona della provincia di Trapani sembra, chissà per quale ragione, che sia un anello fondamentale di collegamento fra le famiglie di Cosa nostra palermitane e catanesi. Vi è una presenza costante e continua ai catanesi». 

Secondo Borsellino, in sostanza, «la zona di Marsala è diventata una specie di santuario delle cosche mafiose. È una mia convinzione, basata però su dati di fatto. Mi sono chiesto come mai Provenzano Bernardo e Riina Salvatore, capi riconosciuti di Cosa nostra, hanno l’uno parenti e l’altro grandi proprietà terriere a Castelvetrano». Quindi il magistrato, per avvalorare la sua tesi, accendeva un faro, ancora una volta profetico, su un piccolo lembo di costa tra Castelvetrano e Mazara del Vallo: Capo Granitola. 

«A Capo Granitola – dice – attraverso indagini non ancora concluse ed a cui ho cercato di dare un impulso disponendo che la polizia giudiziaria ripeta il censimento, in un complesso residenziale, ritroviamo, con nome e cognome, senza prestanome, il famoso Vito Roberto Palazzolo (il tesoriere dei corleonesi con un impero costruito in Sudafrica, ndr), grosso personaggio della famiglia di Cinisi di Cosa nostra, che ha un ruolo importantissimo nel riciclaggio del denaro in Svizzera. Nel complesso residenziale troviamo anche Aloisio Costa e Remo Corrao, uccisi in circostanze misteriose a Monreale, e Caravaggio, ucciso a San Cipirello. Come vedete, non sono solo collegamenti, si tratta di gente che qui già aveva un insediamento. Ma a Marsala ritroviamo anche Giovanni Bontade, Stefano Bontade, Stefano Gallina, tutti i Madonia, famiglia mafiosa di Palermo; tutti si trovano in questo complesso residenziale con il proprio nome e cognome». 

Trentadue anni dopo, nel luglio del 2018, la Dia di Trapani sequestra, proprio a Capo Granitola, un immobile nel villaggio Kartibubbo, considerato nella disponibilità degli eredi di Mariano Agate. Una villa che sarebbe stata donata al boss trapanese proprio da Vito Roberto Palazzolo. Quando gli uomini della Dia fanno irruzione nel villaggio turistico, trovano a trascorrere le vacanze alcuni ospiti dei figli di Agate che riferiscono di avere sempre utilizzato quella villa senza aver mai saputo chi fosse il proprietario formale dell’immobile e senza avere mai pagato le utenze elettriche e idriche. E ancora, in una puntata di Report del 2017, sulla gestione dei fondi dati al Centro nazionale delle Ricerche del ministero dell’Istruzione, un testimone (dipendente proprio del Cnr che a Capo Granitola ha una delle sue sedi siciliane) rivela di avere visto Matteo Messina Denaro di recente proprio in quella località.

Eppure, nonostante già allora ci fossero gli elementi per dire che quello era diventato «il santuario di Cosa Nostra», Borsellino denuncia alla commissione Antimafia l’isolamento a cui è lasciato e i mezzi inadeguati di cui può disporre, al punto che lo stesso Procuratore propone (e così sarà) di aggiungere una volante della polizia, dimezzando la sua scorta. «A Marsala, con centomila abitanti e 106 contrade – racconta Borsellino – non hai una volante né della polizia, né dei carabinieri, che possa assicurare l’intero arco delle 24 ore. Mi ricordo che una volta Buscetta aveva detto che gli era stato presentato un capomafia di Bagheria mentre egli passeggiava in via Ruggero Settimo; nel mio scrupolo io gli avevo contestato: “Ma come passeggiava in via Ruggero Settimo, se lei era latitante?”. “No, signor giudice, perché nel nostro ambiente si sapeva che tra le due e le quattro c’è la smonta, volanti non ce n’erano, conseguentemente noi latitanti scendiamo a fare la passeggiata. Qui sentiamo una libertà di movimento che supera i limiti di ogni possibile immaginazione”». 


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