Sistema Montante, dopo le condanne parla il procuratore Bertone: «Noi accostati pure alla mafia, fatto molto grave»

Il giorno dopo la sentenza su uno dei processi più importanti degli ultimi anni in Sicilia, è il momento delle prime parziali valutazioni. Antonello Montante è stato condannato dal gup di Caltanissetta Graziella Luparello a 14 anni di carcere per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e all’accesso abusivo a sistema informatico. Tre anni e sei mesi in più rispetto a quanto richiesto dalla Direzione distrettuale antimafia nissena guidata dal procuratore capo Amedeo Bertone. Un macigno sulle spalle dell’ex numero uno degli industriali siciliani. «Leggeremo le motivazioni e capiremo cosa ha indotto il giudice ad aumentare la pena, poi capiremo cosa fare», commenta uno dei legali, Giuseppe Panepinto. 

La condanna arriva al culmine del processo con rito abbreviato, che prevede la riduzione di un terzo della pena. Con l’ordinario si sarebbe quindi parlato di 21 anni di carcere. Come si giunge a un cumulo di così tanti anni? In attesa di leggere le motivazioni, il procuratore Bertone sottolinea che «la giudice è partita da una base di pena maggiore, evidentemente ha valutato più gravemente alcune condotte». Per il numero uno dei pm nisseni si tratta in ogni caso di «un ulteriore elemento che serve a confermare la validità del nostro impianto accusatorio e che accoglie in pieno la nostra ricostruzione». Il sistema Montante c’è stato ed è servito da un lato per costruire dossier contro possibili rivali nella politica, nell’imprenditoria e nella magistratura. E dall’altro per ottenere informazioni riservate a proposito dell’indagine per concorso esterno alla mafia, che tuttora non è stata archiviata. Sarà invece il secondo filone d’inchiesta a stabilire se il sistema è servito, come ipotizza la Procura, anche a condizionare l’attività del governo regionale di Rosario Crocetta (su questo aspetto si attende la chiusura delle indagini).

Ma Bertone, che durante il processo ha sempre centellinato i suoi interventi, adesso si leva un sassolino dalla scarpa. «Questa sentenza – sottolinea a MeridioNews consente anche di fare giustizia su alcune amenità che sono state dette alla stampa e pure in requisitoria, dove i legali di Montante hanno fatto riferimento a un presunto potere mafioso che si sarebbe allignato in quello giudiziario, e che questa indagine avrebbe favorito un ritorno di alcuni ambienti mafiosi. Tutto questo è molto grave. Nel mio ufficio – conclude – nessuno è stato condizionato e nessuno ha scheletri nell’armadio». 

L’ardita ricostruzione fa capolino per la prima volta per iscritto nel documento con cui i legali di Montante avevano chiesto che il processo venisse spostato da Caltanissetta per incomptabilità ambientale. In quel testo si leggeva: «Solo un riemergere della mafia, per effetto di una sua rianimazione, può spiegare quello che sta accadendo». E poco più in là, il concetto veniva rafforzato: «Un’operazione politica molto probabilmente di matrice mafiosa, voluta da Cosa Nostra per la straordinaria efficienza che il contrasto alle infiltrazioni e al ricatto mafioso aveva assunto. La magistratura di Caltanissetta a un certo punto ha dovuto abbandonare lo scrivente per tutelare se stessa, impiantando un teorema accusatorio, fonte di sua rigenerazione». Un tentativo rimandato al mittente, visto che il processo è rimasto nella sua sede originaria, e oggi duramente stigmatizzato dal procuratore Bertone. 

Nella sentenza di ieri, intanto, la giudice ha definito i risarcimenti pecuniari: diecimila euro all’amministrazione della polizia di Stato, in aggiunta alla condanna del sostituto commissario capo Marco De Angelis a quattro anni di carcere; 70mila euro alla Regione Siciliana che era parte civile. Per De Angelis, così come per gli altri uomini delle forze dell’ordine condannati (l’ex comandante provinciale della Guardia di Finanza di Caltanissetta Gianfranco Ardizzone e l’ex poliziotto poi capo della sicurezza di Confindustria Diego Di Simone) è scattata anche l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. 

Infine la gup Luparello ha disposto anche la trasmissione degli atti alla Procura di Caltanissetta per «le valutazioni di competenza» nei confronti della giornalista Rai Lucia Basso, Pietro Cuzzola, l’ex capo reparto dell’Aisi (i servizi segreti civili) Valerio Blengini e il generale Mario Parente (a capo dell’Aisi dopo il pensionamento di Arturo Esposito, quest’ultimo imputato nel processo Montante con rito ordinario) senza indicare le motivazioni. Chiuso il primo grado dell’abbreviato con le condanne di ieri, da lunedì comincerà invece il processo con rito ordinario che vede imputate altre 23 persone accusate di aver fatto parte, a vario titolo, del sistema Montante.


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