La polizia scientifica, con il luminol, ha individuato tracce che sarebbero di sangue. «C'è stato un riscontro - spiega la legale di Blanco a MeridioNews - ma non sappiamo ancora di cosa». Intanto arrivano chiarimenti sull'esposto presentato dal padre del bimbo
Trovate alcune tracce sul cuscino della culla di Evan Tre accessi in ospedale: «La madre di certo sapeva»
La polizia scientifica ha trovato delle tracce che sarebbero di sangue sul cuscino della culla di Evan, il bambino di Rosolini di 21 mesi morto per un forte trauma cranico che ha causato un arresto cardiocircolatorio all’ospedale Maggiore di Modica. Al nosocomio il piccolo era arrivato già in condizioni critiche con il corpo pieno di lividi, lesioni e fratture, come hanno poi confermato anche i primi esiti dell’autopsia. Attraverso l’utilizzo del luminol, durante il sopralluogo dello scorso venerdì 21 agosto, sono state scoperte delle tracce – che potrebbero essere ematiche – nonostante il cuscino risultasse già lavato con cura. «C’è stato un riscontro di alcune tracce ma non possiamo ancora sapere di cosa siano», precisa a MeridioNews l’avvocata Annamaria Campisi che difende Salvatore Blanco, il 32enne compagno convivente della madre del piccolo, la 23enne Letizia Spatola, che come lei si trova in carcere con l’accusa di omicidio volontario, lesioni e maltrattamenti in famiglia.
Durante l’interrogatorio della gip, entrambi si sono proclamati estranei ai fatti. Blanco ha dichiarato di non avere «mai toccato il bambino» con cui ha detto di avere sempre avuto «un bellissimo rapporto». Spatola, invece, ha addebitato ogni accusa al compagno. «Sta ribadendo di essere stata plagiata dal convivente e di essersi sentita vittima», aggiunge la legale di Blanco. L’uomo continua a negare di avere mai fatto qualcosa sia al bimbo che a lei. Secondo la tesi della procura, però, entrambi sarebbero responsabili: la donna, infatti, non poteva non sapere che le violenze sul figlio andavano avanti già da tempo.
Uno degli elementi a riprova di questa ipotesi sarebbero i diversi ingressi in ospedale degli ultimi tre mesi prima della morte di Evan. Un primo accesso è del 27 maggio. Il bambino arriva al nosocomio con una frattura al femore. La donna avrebbe giustificato tutto parlando di una caduta da un seggiolino (di quelli che si attaccano al tavolo per i pasti) e avrebbe anche raccontato di essersi ferita alle gambe nel tentativo di prenderlo. Blanco avrebbe invece riferito che al momento della caduta si trovava in bagno. Il bambino, per altro, non viene portato in ospedale lo stesso giorno della caduta ma solo successivamente. Una ferita che lascia sul corpo di Evan anche dei segni: il bambino, infatti, aveva anche difficoltà a camminare e si trascinava la gamba destra, come è evidente da alcuni video mostrati dalla nonna e dalla zia paterne.
Passano poco più di due settimane e, il 12 giugno, il bambino viene portato di nuovo in ospedale per delle ferite che si sarebbero infettate. Un terzo accesso ha la data del 6 luglio: il referto di Evan parla di una frattura alla clavicola. Su questo madre e convivente non hanno dato spiegazioni. Gli operatori sanitari notano anche lividi sul corpo del bambino. In uno di questi accessi, inoltre, la madre avrebbe anche abbandonato il bambino in ospedale. Da parte dei medici (sia del pronto soccorso che del dirigente medico del reparto di Ortopedia) pare fosse stata già fatta anche una segnalazione alle forze dell’ordine. Ulteriori chiarimenti sulla causa della morte e sulle dinamiche precedenti potranno arriva solo con gli esiti dell’esame autoptico: la medica legale Francesca Berlich ha 60 giorni di tempo (prorogabili per ulteriori accertamenti) per presentare la relazione. «Non possiamo pronunciare condanne – afferma l’avvocata Campisi – su fatti che ancora devono essere accertati».
Intanto oggi è arrivato anche un chiarimento sull’esposto presentato dal padre di Evan, Stefano Lo Piccolo, lo scorso 6 agosto, undici giorni prima della morte del piccolo. Il procuratore aggiunto di Genova Francesco Pinto ha spiegato a Repubblica che «l’esposto, per stessa ammissione della persona che lo ha presentato, non conteneva evidenze probatorie». Per questo il fascicolo è stato iscritto a un modello relativo ad atti che non costituiscono reato e senza alcun nome sul registro degli indagati. Il giorno dopo, il pubblico ministero ha comunque disposto la trasmissione degli atti alla procura di competenza (quella di Siracusa) e la raccomandata è partita dal capoluogo ligure il 17 agosto. Lo stesso giorno in cui Evan è morto. Sono passati 15 giorni dalla presentazione dell’esposto da parte del padre (in cui c’era scritto pure: «Ho il timore che mio figlio sia vittima di violenze in famiglia») all’arrivo alla procura aretusea.
«Non c’erano referti ospedalieri, né testimonianze dirette. Non avevamo informative di forze dell’ordine – sottolinea Pinto – Non ci poteva essere, da parte della nostra procura, la reale percezione della drammaticità della situazione, né a Genova potevamo conoscere i gravissimi episodi avvenuti in passato in Sicilia come i ripetuti ricoveri ospedalieri. Un conto – ha aggiunto il procuratore – è consegnare un esposto all’ufficio e poi aspettare che faccia il suo corso ordinario, un altro è illustrare fatti ritenuti molto gravi direttamente a un pubblico ministero».