«Speriamo sia pronto entro marzo», è l'auspicio dell'assessora alle Politiche d'inclusione Rita Gentile. I primi stagionali sono arrivati e padre Carlo D'Antoni immagina un centro per l'impiego ad hoc. Un comitato di cittadini, invece, si appella a Salvini
Cassibile, i residenti che non vogliono il villaggio dei migranti «Noi non siamo razzisti ma meglio fuori per non dare fastidio»
Potrebbe essere la volta buona per vedere realizzato il villaggio dei migranti a Cassibile. Dell’area attrezzata con le 17 casette – con energia elettrica, acqua corrente, cucine da campo, docce e bagni chimici – si parla già da due anni. Sul progetto che finora è sempre naufragato, c’è chi ripone buone speranze, chi è disilluso e chi lo osteggia chiedendo anche l’intervento del segretario della Lega Matteo Salvini. Nel mezzo ci sono loro, le centinaia di braccianti agricoli che in questo periodo cominciano ad arrivare nel Siracusano e che, ormai da quasi trent’anni, sono costretti ad arrangiarsi a vivere in una baraccopoli improvvisata tra tende, casolari diroccati o capanne costruite con materiali di recupero. Smantellati spesso dalle forze dell’ordine solo alla fine della stagione dei raccolti.
«Speriamo sia tutto pronto entro fine marzo – dichiara a MeridioNews l’assessora alle Politiche di inclusione Rita Gentile – La realizzazione è già in itinere e, al momento, si sta lavorando alla predisposizione e agli allacci dei moduli abitativi». Contando anche un attendamento su cui però non ci sono ancora certezze, il villaggio di contrada Palazzo – zona periferica della frazione di Siracusa – dovrebbe potere ospitare un centinaio di migranti. Circa un quinto di quelli che il territorio è abituato ad accogliere per tutto il periodo tra la primavera e l’estate. «A causa dell’emergenza sanitaria dovuta al Covid-19 – chiarire l’assessora – il numero inferiori di ospiti è stato deciso dall’Asp».
Intanto, con i lavori ancora in corso d’opera, i migranti cominciano ad arrivare. «Ce ne sono già una trentina che si sono sistemati, come sempre, in quelle che somigliano a delle favelas», dice padre Carlo D’Antoni, il prete della parrocchia di Bosco Minniti che da anni è diventato un loro punto di riferimento. «Vorrei non rassegnarmi all’idea che qui non si è in grado di progettare, ma la mia impressione è che finora si siano fatte solo chiacchiere e che, come ogni anno – aggiunge – si arrivi ad affrontare la questione come fosse una emergenza». Invece, quello dei migranti lavoratori stagionali del settore agricolo è un fenomeno sociale «di cui tutti noi abbiamo bisogno per fare in modo che i campi vengano lavorati e i prodotti raccolti per arrivare sulle nostre tavole – dice padre Carlo – Per questo è fondamentale trovare un modo giusto per dare loro la dignità di lavoratori e non trattarli come schiavi arruolati dai caporali». Per questo, il sacerdote ha anche pensato a un’idea pratica: «Servire creare a Cassibile una sorta di centro per l’impiego ad hoc in cui, alla luce del sole, si incontrano domanda e offerta in modo organizzato e legale».
Una soluzione che, al momento, sembra un’utopia. Anche perché i residenti della frazione aretusea i migranti lì non li vorrebbero affatto. «Non siamo razzisti ma – sostiene Paolo Romano che, conclusa l’esperienza da presidente della circoscrizione, è diventato il portavoce del comitato dei residenti – non siamo d’accordo ad averli qui, in un quartiere già popoloso e disagiato. Il centro si deve fare – aggiunge – ma fuori dal paese, in modo che non diano fastidio a nessuno». Una posizione che Romano ha ribadito anche la scorsa settimana in collegamento da piazza Ribes con la trasmissione Dritto e Rovescio di Rete4 rivolgendosi direttamente al leader del Carroccio, lo stesso giorno dell’udienza del processo sul caso Gregoretti in cui il segretario leghista è imputato per sequestro di persona per avere negato lo sbarco di 131 migranti. «Abbiamo chiesto a Salvini di fermare la realizzazione del villaggio e lui si è detto disponibile a impegnarsi».