Mentre alcuni ventenni dello Zen si rendevano responsabili della strage di Monreale, altri ventenni dello stesso quartiere di Palermo, negli stessi giorni, sono stati ammessi tra le associazioni che riceveranno dal Comune un bene confiscato alla mafia. «Un luogo in cui sogniamo di costruire un santuario per animali feriti», racconta a MeridioNews Valerio Riccobono, il […]
Allo Zen la cura di animali feriti in un bene tolto alla mafia: «Siamo senza Stato, ma almeno abbiamo i giovani»
Mentre alcuni ventenni dello Zen si rendevano responsabili della strage di Monreale, altri ventenni dello stesso quartiere di Palermo, negli stessi giorni, sono stati ammessi tra le associazioni che riceveranno dal Comune un bene confiscato alla mafia. «Un luogo in cui sogniamo di costruire un santuario per animali feriti», racconta a MeridioNews Valerio Riccobono, il non ancora ventenne presidente dell’associazione Il rifugio della libertà, nata appena tre mesi fa. Un progetto che mette che mette in bella vista la doppia anima del quartiere palermitano: da un lato, marginalizzazione che può portare alla delinquenza; dall’altra c’è un territorio che resiste, persone che cercano di creare nuove realtà chiedendo aiuto anche alle istituzioni.
«Vogliamo creare un luogo che sia un presidio di legalità – racconta Riccobono – In particolare, un santuario per animali feriti, maltrattati, abbandonati o destinati al macello. Il nostro obiettivo è salvarne il più possibile. Ma vorremmo fosse uno spazio sicuro per tutti, anche per le donne vittime di violenza», aggiunge il presidente dell’associazione che è tra quelle a cui il Comune di Palermo ha assegnato un bene confiscato alla mafia. A partecipare al bando – che richiedeva solo che le realtà fossero iscritte al Registro unico nazionale per il terzo settore (Runts) – sono state tantissime associazioni: «La seconda fase – riferisce Riccobono al nostro giornale – sarà visionare gli immobili per scegliere quello più adatto al progetto». Nel caso specifico, per esempio, si punta a un immobile che abbia uno spazio aperto per potere accogliere al meglio gli animali. «Siamo consapevoli del fatto che alcune strutture non saranno in buono stato perché, dopo la confisca, fino all’assegnazione passano anni in cui il bene resta abbandonato nel degrado», fa notare il presidente dell’associazione che avrà un bene affidato per sei anni. «Poi dovremo fare una nuova richiesta», spiega.
È vivace e propositivo Valerio, che nonostante la giovane età ha già fatto numerose esperienze e tante altre ha in cantiere di farne, a dimostrazione del fatto che nascere, crescere e vivere allo Zen non significa per forza dover prendere la strada dell’illegalità, ma è necessaria le presenza dello Stato affinché quest’ultima non sia la scelta più facile. «Vivo allo Zen e porto avanti diverse battaglie, prima tra tutte il contrasto alla criminalità. E lo faccio pubblicamente – sottolinea – anche sui social, dove esorto anche altri giovani del mio quartiere a intraprendere la strada che può sembrare più difficile. Per fortuna non ho mai avuto problemi per questa mia attività». Un percorso condiviso con la sua famiglia. «Abbiamo subito ostracismo quando mio fratello ha vinto il concorso in polizia – racconta il presidente di Il rifugio della libertà – Certo, è strano sentire che uno sbirro è uscito dallo Zen, quindi tanta gente non ci ha più salutati. Per noi è stato invece una specie di riscatto sociale, perché abbiamo dato un esempio forte alle persone che ci circondano e cioè che ognuno è proprietario della sua vita».
Come sempre, anche qui è la famiglia a regolare lo spazio di azione dei figli. Alcuni più fortunati, altri meno, in contesti in cui non sempre le cose vanno come dovrebbero andare. «Ad esempio, Salvo Calvaruso (il 19enne che ha confessato di essere uno dei responsabili del triplice omicidio di Monreale, ndr) viene da una famiglia riservata – sostiene Riccobono -, che non ha mai usato armi né litigato con nessuno. Lui ha preso una strada sbagliata e il contesto non lo aiuta, fino a commettere il più grande errore della sua vita, di cui spero si pentirà». Un errore di cui le responsabilità andrebbero anche cercate a più livelli. «Lo Stato dovrebbe dare l’esempio, anche contrastando il commercio illegale di armi», sottolinea il 20enne, che prova a dare un’immagine più sfaccettata dei giovani dello Zen di cui si è tanto parlato in questi giorni: un’entità indistinta, a cui nessuno ha pensato di chiedere opinioni o stati d’animo dopo i fatti di Monreale. «Stiamo provando un grande dolore – racconta – Per le strade c’è un silenzio tombale e non si vedono neanche ragazzi che scorrazzano coi motorini».
Ragazzi appena maggiorenni, famiglie e quartiere a cui spesso risulta troppo semplice addossare ogni responsabilità. Dimenticando il ruolo dello Stato e della scuola. Come nel caso dell’arresto della preside antimafia Daniela Lo Verde: «Quello è stato un altro schiaffo per lo Zen – ricorda Riccobono -, perché alcuni bambini credevano in lei e hanno subito una grande delusione verso un altro futuro possibile. In un territorio così difficile, credo che fare una cosa del genere sia ancora più da vigliacchi. Le forze dell’ordine qui non si vedono da 15 anni – lamenta il giovane residente – se non nel corso dei maxi blitz». Nonostante la presenza (anche piuttosto nuova) della caserma San Filippo Neri. «Noi la chiamiamo la caserma fantasma perché, anche in casi di liti violente o sparatorie, non abbiamo mai visto nessuno uscire per intervenire. Fanno soltanto monitoraggio». E, in quell’area periferica del capoluogo siciliano, non sembra andare meglio neanche nel rapporto con le amministrazioni locali: «Sono praticamente assenti, ma pretendono che da qui escano comunque solo esempi positivi. Come se un padre, che pensa solo a punire il figlio, possa aspettarsi che lui capisca da solo qual è la cosa giusta da fare – ribadisce ancora Riccobono -. Se lo Stato non dà ai giovani gli strumenti giusti per poter crescere in libertà e legalità, i ragazzi dello Zen, di Brancaccio e di tutte le periferie prenderanno sempre la strada più facile».