Il palermitano Marco Miceli firma insieme a cinque co-autori un importante studio pubblicato sulla rivista Nature Astronomy. Un lavoro che si è avvalso delle possibilità offerte dall'ateneo e non solo. «La ricerca non è complicata qui, ma in generale»
Unipa, quei cervelli che da Palermo non fuggono «Non è vero che questa città ha poco da offrire»
Scuole con tradizioni antiche e di un certo spessore, importanti traguardi in fatto di divulgazione della cultura scientifica, una fitta rete di attività e ricerche di frontiera sia a livello nazionale che internazionale. C’è, in parte, anche questa faccia di Palermo dietro lo studio realizzato da Marco Miceli, ricercatore palermitano al dipartimento di Fisica e chimica all’Università di Palermo e associato Inaf presso l’Osservatorio astronomico della città, recentemente pubblicato sulla rivista Nature Astronomy. A firmare l’importante studio ci sono insieme a lui anche cinque co-autori: sono Salvatore Orlando e Fabrizio Bocchino (Osservatorio astronomico di Palermo) e gli associati Inaf Giovanni Peres, Fabio Reale e Costanza Argiroffi. «Questo è un lavoro che nasce con due obiettivi: il primo è stato quello di analizzare e comprendere l’evoluzione dell’esplosione stellare osservata nel 1987 nella nube di Magellano; mentre il secondo quello di utilizzare questa sorgente estremamente luminosa ed energetica come un laboratorio cosmico per lo studio degli shock, vale a dire le onde d’urto che viaggiano a velocità supersonica», spiega Miceli a MeridioNews.
Onde d’urto che nello spazio producono un eccezionale aumento di temperatura. «Sono molto importanti in astrofisica – continua il ricercatore -, perché questi shock vengono osservati su diverse scale (dal nostro “piccolo” sistema solare, fino a scale extragalattiche e cosmologiche) e determinano il riscaldamento del mezzo che investono». Un processo di riscaldamento che è però diverso da quello che osserviamo sulla Terra. «Col nostro studio abbiamo dimostrato che la temperatura degli atomi che vengono investiti dallo shock cresce in proporzione alla loro massa; per esempio, gli atomi di ferro raggiungono una temperatura 56 volte maggiore degli atomi di idrogeno», spiega. Una sorta di complesso confronto tra quanto accade sulla Terra e quanto invece succede in quelle regioni dello spazio investite e attraversate da queste onde d’urto, con tutte le conseguenze che ne derivano. Un risultato ottenuto sfruttando il satellite Chandra della Nasa per le osservazioni e grazie allo sviluppo di un modello idrodinamico tridimensionale.
Un contributo importante, insomma, firmato made in Palermo. Non solo per le origini dell’autore e del suo team di astronomi, ma proprio per i luoghi di cui il gruppo si è avvalso, che per sviluppare questo lavoro è rimasto nel capoluogo siciliano. A dispetto dei tanti pregiudizi e luoghi comuni che la città fatica a scrollarsi di dosso. Specie in fatto di ricerca e possibilità accademiche e professionali. Sono sempre di più, infatti, i giovani che, pur iniziando un percorso universitario nel capoluogo siciliano, in base all’esperienza fatta e al bilancio che ne traggono, decidono di proseguire altrove lasciandosi alle spalle il profilo dell’Isola. Tra corsi di specializzazione o dottorati che qui non esistono o che, se invece ci sono, per qualcuno non risultano soddisfacenti come quelli presenti in altre città. O semplicemente perché in molti considerano anche e soprattutto la fase post-studio e la possibilità, quindi, di essere successivamente inseriti in un contesto lavorativo affine a quanto faticosamente studiato. Mentre, secondo i dati dell’Anagrafe nazionale degli studenti curata dal Miur, più di un siciliano su quattro sceglie di andare fuori per frequentare l’università, direttamente dal principio del proprio percorso di studi.
«Io lavoro a Palermo, dove ho anche studiato, come buona parte degli autori dello studio, al dipartimento di Fisica e chimica dell’Università e al l’Inaf-Osservatorio Astronomico Giuseppe Salvatore Vaiana – racconta Miceli -. La scuola palermitana dell’astrofisica delle alte energie è piuttosto antica e importante e vanta articoli prestigiosi e collaborazioni internazionali». L’OAPa, come viene abbreviato nell’ambiente, è una delle strutture di ricerca dell‘Istituto nazionale di astrofisica e opera in stretta sinergia con Unipa, attraverso il dipartimento di cui fa parte Miceli. Ha una fondazione piuttosto antica, che si colloca nel 1792, e da sempre ha sede a Palazzo dei Normanni. Oggi si caratterizza per la sua specifica vocazione nel campo dell’astrofisica spaziale, ambito nel quale si sono sviluppate alcune linee di ricerca ripartendo dagli studi degli anni ’80 compiuti dallo studioso a cui l’istituto è intitolato. «Non direi che la città offre poco sotto questo punto di vista, non penso sia un problema di Palermo – torna a dire il ricercatore -. In città abbiamo due sedi dell’istituto nazionale di astrofisica, oltre al dipartimento di Fisica e Chimica, direi che in generale fare ricerca in Italia è complicato e chiaramente ci sono molti sacrifici da affrontare. Ma dal mio punto di vista è più un problema nazionale che locale».