Statuto tradito: “I deputati regionali, galoppini di Roma, sono i maggiori responsabili”

Proprio nei giorni in cui lo Stato italiano lancia il suo ennesimo attacco all’Autonomia siciliana, vi proponiamo l’ultima parte  dell’intervista esclusiva ad uno dei padri del separatismo: Concetto Gallo, comandante dell’Evis, l’Esercito volontario per l’Indipendenza della Sicilia nel 1945 e poi deputato all’Assemblea costituente e dell’Assemblea regionale, rilasciata ad Enzo Magrì nel 1974. Una preziosa testimonianza dei fatti che interessarono la Sicilia, all’indomani della seconda guerra mondiale, che svela molte verità nascoste dalla storia ufficiale. Nelle prime quattro parti, che trovate in allegato, le origini dell’indipendentismo siciliano all’insegna della fede antifascista e anti colonialista, i rapporti con gli alleati vincitori del secondo conflitto mondiale, l’assassinio del prof. Antonio  Canepa,  le menzogne sui rapporti con la mafia.  In questa parte conclusiva il tema è : l’Automia tradita. Un ringraziamento va a Santo Trovato, portavoce del Mis, il Movimento per l’indipendenza della Sicilia, che ci ha fornito questo preziosissimo materiale. 

L’intervista/Parte quinta (ultima).  
Onorevole Gallo, la domanda che segue riguarda una circostanza di importanza notevole per gli storici. Solo lei può avvalorarla. se è vero. È vero che lei ebbe contatti con i Savoia? È vero che prima del referendum, e in previsione di una loro sconfitta, i Savoia si preparavano a riconquistare l’Italia partendo dalla Sicilia?


«Con i Savoia io non ebbi contatti. Con altri sì. Anche se questi altri oggi negano la circostanza. Ci furono due episodi ben distinti. Il primo avvenne durante la clandestinità. Un giorno Lucio Tasca mi avvertì che c’erano due signori “desiderosi di vedermi”. Uno era l’avvocato Anselmo Crisafulli di Messina e l’altro un generale proveniente da Roma. Chiesi a Tasca: “Che cosa vogliono?”. Disse: “Vengono da Roma e li manda Umberto di Savoia”. Risposi a Tasca: “Allora, proprio perché vengono da Roma e proprio perché li manda Umberto di Savoia, non possono essere altro che dei mentitori”. E non li incontrai. L’altro episodio è molto più importante. Mi trovavo in carcere a Palermo. Eravamo già nel 1946, alla vigilia del referendum istituzionale. Vivevo nel mio più assoluto isolamento. Non mi si permetteva di vedere nessuno. Un giorno mi annunciarono delle visite. “Gli avvocati difensori”, dissero. Mi recai in parlatorio e trovai l’avvocato Antonino Varvaro che sarebbe passato tra le file comuniste, Sirio Rossi, indipendentista, socialista, l’uomo che mi aveva ospitato a Palermo alla vigilia della mia investitura a comandante dell’Evis. E un altro signore che mi venne presentato come il generale Schiavo Campo, aiutante di campo di Umberto di Savoia. Tasca mi disse che il generale era venuto da Roma per sapere da me una cosa: se, una volta uscito dal carcere, io fossi stato disposto ad assumere il comando di uno schieramento rivoluzionario in favore dei Savoia. Si impegnavano a farmi evadere subito. La mia risposta: “Fino a oggi voi, con la vostra divisione Sabauda, ci avete massacrato. Datemi un argomento, uno solo, ideale e politico, perché io mi possa schierare con voi. Grazie, signori”. E mi ritirai».

Insomma Umberto di Savoia avrebbe voluto creare nel Sud un’armata, un esercito clandestino per fare in Sicilia quello che i Borboni avevano fatto cent’anni prima nel Napoletano: ricreare il fenomeno del brigantaggio?


«No, assolutamente. Dall’atteggiamento di Schiavo Campo io capii che qualcuno servendosi del nome dei Savoia voleva creare un esercito clandestino affidandomene per un certo periodo il comando e speculando sul mio nome; un esercito clandestino che avrebbe dovuto, combattendo, riconquistare quell’Italia che poi i Savoia avrebbero perso col referendum. In sostanza, questi signori avevano capito che Umberto stava per perdere il regno. In previsione di questo si cercava di organizzare un esercito per riconquistare il paese con le armi. Tutto qui. Certo, ora, quelli che erano presenti a quella riunione magari negano che sia avvenuta. Ma i fatti sono come li ho raccontati io».

Onorevole Gallo, quali furono, sul piano politico, i risultati di quella guerra?


«Senza dubbio l’autonomia siciliana, il cui statuto recepì le idee, i propositi che animarono i primi documenti degli indipendentisti. Anche oggi, a tanti anni di distanza, di quello Statuto svuotato anno dopo anno dai parlamentari, non c’è più niente. Luigi Einaudi, ministro del Tesoro, si batté alla Costituente perché lo Statuto Speciale per la Sicilia non venisse varato. Si sforzò di far comprendere che inserendolo, come avvenne, sic et simpliciter nella Costituzione dello Stato si sarebbe dato ai siciliani uno strumento formidabile: “Più che l’indipendenza”, disse. I siciliani, solo con l’articolo 40 dello Statuto, avrebbero in pochi anni potuto batter moneta propria che avrebbe fatto aggio sulla lira! “State attenti a quello che andate ad approvare!”. Ed aveva ragione quel grande studioso. Dal punto di vista italiano egli aveva perfettamente valutato la forza della conquista del popolo siciliano.
Ma l’eco della battaglia di San Mauro non era ancor spenta e la paura di riaccendere la fiamma dell’indipendentismo spinse il governo De Gasperi ad imporre il coordinamento dello Statuto siciliano con la Costituzione dello Stato. I tempi hanno dato torto allo studioso Einaudi e ragione agli esponenti del tradimento, del falso e del sopruso. De Gasperi cioè sapeva di poter contare sui deputati regionali, i quali sono i maggiori responsabili della mancata applicazione dello Statuto, e che hanno solo creato a Palermo la sede di riunione dei galoppini elettorali dei deputati nazionali. Una fonte inesauribile di combriccole elettorali attraverso la creazione di innumerevoli enti e sottoenti, mangiatoie di svariata grandezza, serbatoio di miliardi sperperati e male impiegati. Nella prima legislatura, sotto lo stimolo dei 9 deputati indipendentisti, si gettarono le basi della rinascita. L’attuazione dell’art. 38 (fondo di solidarietà), il cui merito va all’indipendentista onorevole Attilio Castrogiovanni, che, quale presidente della commissione di finanza e giunta del bilancio lo sostenne e lo volle, fu il primo atto del valore di una grande conquista. Poi, a partire dalla seconda legislatura, assenti gli indipendentisti, cominciò il rovinoso declino. Si accettarono supinamente tutti i colpi che venivano vibrati da Roma. Si abolì con un semplice trucco l’Alta Corte per la Sicilia. In una parola si svuotò lo Statuto dei suoi contenuti essenziali, riducendo l’autonomia, come ebbe a dire Finocchiaro Aprile, a una “ignobile agenzia” del potere centrale. Ma tutto è possibile… all’italiana».
Ma i deputati regionali qualcosa l’hanno pure fatta??
«Sì, qualcosa di molto utile. Ma per loro».

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