Dopo 15 anni non è stata ancora scritta la parola fine sulla storia giudiziaria di Sebastiano Scuto. L'ex re dei supermercati accusato di aver costruito i suoi successi imprenditoriali a braccetto con Cosa nostra. Per la procura generale sul caso deve tornare a dire la sua il collaboratore di giustizia palermitano
Scuto, la Cassazione chiamata ancora a decidere Accusa vuole sentire pentito Francesco Franzese
Il processo Scuto? Paragonabile a un gioco di percorso, dove i contendenti spostano le pedine con l’obiettivo di arrivare per primi a un traguardo. Lo striscione dell’arrivo, in questo caso, sembra però sempre più lontano nonostante i partecipanti si affrontino praticamente dal 2001. L’anno del primo arresto di Sebastiano Scuto. L’imprenditore, originario di San Giovanni La Punta, ex re dei supermercati a marchio Aligrup, è accusato di aver costruito i suoi successi a braccetto con il clan mafioso dei Laudani. Dopo la seconda sentenza d’Appello, che lo ha condannato a otto anni per associazione mafiosa, la vicenda tornerà ancora davanti la corte di Cassazione. A impugnare la documentazione sono stati sia la procura generale sia gli avvocati difensori di Scuto. I professori Franco Coppi e Giovanni Grasso vogliono l’annullamento.
L’accusa chiede invece ai giudici ermellini di piazza del Tribunale che il processo torni per la terza volta in secondo grado. Da sentire, per i magistrati Salvatore Scalia e Miriam Cantone, c’è il collaboratore di giustizia palermitano Francesco Franzese. Un nome già emerso nella storia di questo processo e sul quale si basano le contestazioni sull’espansione imprenditoriale in provincia di Palermo da parte dell’imprenditore puntese. Un punto che i giudici nelle motivazioni depositate nel 2016 avevano bollato come «privo di evidenze probatorie», assolvendo Scuto. Scelte e posizioni diametralmente opposte con quelle del primo processo d’Appello. È il mese di aprile 2013 quando i togati etnei condannano l’imputato a 12 anni, ritenendolo pienamente colpevole anche per i suoi rapporti nella Sicilia occidentale. Esito che viene però ribaltato proprio nel primo passaggio in Cassazione nel 2014. Quando la sentenza viene annullata e rinviata a un nuovo collegio giudicante.
Oggi pentito, ex reggente del mandamento di Partanna–Mondello e uomo di fiducia dei restauratori dei Cosa nostra Salvatore e Sandro Lo Piccolo, Francesco Franzese ha già fatto parlare molte volte di sé nella storia di questo processo. Nel 2008 in un confronto all’americana durante il primo processo a Scuto, il pentito non lo riconosce nonostante lo accusasse di essere stato tra i partecipanti a un presunto summit mafioso nel quartiere palermitano di Passo di Rigano. Nel primo processo d’Appello Franzese non viene ascoltato e sono gli ermellini romani ha chiederne l’audizione definendolo «prova decisiva» dopo l’annullamento con rinvio. Nell’ultimo processo in secondo grado però i giudici della seconda sezione d’Appello – Dorotea Quartarato, Antongiulio Maggiore e Francesca Pulvirenti – scelgono di mantenere la posizione e non chiamarlo come testimone. Per l’accusa invece è proprio Franzese il testimone che può chiarire la scalata imprenditoriale palermitana, che sarebbe avvenuta in comune accordo sia con Giuseppe Grigoli, imprenditore marchiato Despar e prestanome del super latitante stragista Matteo Messina Denaro, che con Vincenzo Milazzo, socio della K&K.
Non meno complicata è la questione relativa alla confisca dell’immenso patrimonio dell’imprenditore 75enne. Per il collegio giudicante dell’ultimo processo, la linfa vitale di Aligrup – azienda nata nel 1987 e concessionaria del colosso Despar in Sicilia orientale – non sarebbe integralmente da attribuire alla mafia. La società, pur essendo ritenuta la lavatrice del denaro dei Laudani, avrebbe infatti beneficiato anche dei capitali leciti di Scuto. La percentuale della confisca viene quindi confermata nella cifra del 15 per cento delle quote societarie. Un numero a cui si arriva anche dopo un’offerta di acquisto di alcune quote da parte di Soipa spa, nel 2010. Una proposta che, secondo il pg Gaetano Siscaro, celerebbe l’interesse di Scuto a rientrare in possesso di parte dell’azienda e su cui i giudici hanno a lungo discusso nei vari gradi del procedimento. Per poi confermare la percentuale di confisca nell’ultimo processo d’Appello. Attesa anche per l’altro procedimento sul patrimonio personale di Scuto, che si è celebrato davanti al tribunale per le misure di prevenzione. I giudici d’Appello a breve dovrebbero depositare l’ordinanza, dopo la chiusura delle udienze a fine gennaio.