Rinvio a giudizio per i carabinieri Masi e Fiducia Colleghi avrebbero ostacolato cattura dei boss

Rinvio a giudizio per calunnia e diffamazione per i marescialli dei carabinieri Saverio Masi e Salvatore Fiducia. Masi è tra i principali testi del processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia ed ex capo scorta del magistrato Nino Di Matteo. I due ufficiali avevano presentato denuncia nei confronti di sette ufficiali dell’arma (Gianmarco Sottili, Francesco Gosciu, Michele Miulli, Fabio Ottaviani, Gianluca Valerio, Antonio Nicoletti e Biagio Bertodi difesi dagli avvocati Claudio Gallina Montana, Ugo Colonna, Basilio Milio ed Enrico Sanseverino) accusandoli di aver «rapposto continui ostacoli nel corso di indagini mirate alla cattura di super latitanti» come Bernardo Provenzano, morto in carcere nel luglio 2016, e Matteo Messina Denaro, ancora latitante. Le accuse però non hanno trovato riscontro. 

Il processo comincerà il 20 giugno davanti al tribunale monocratico di Palermo. Secondo il giudice Vittorio Alcamo, che aveva disposto per i due marescialli l’imputazione coatta, «le denunce di Masi e Fiducia sono state sporte solo a maggio 2013 e quindi a distanza di sette/dodici anni rispetto ai fatti attribuiti ai superiori». 

Per alcuni fatti denunciati da Masi, continua il magistrato, «nessuno dei pubblici ufficiali sentiti è stato in grado di fornire un avallo alle propalazioni di Masi. Va evidenziata – diceva ancora Alcamo – anche la sospetta progressione dichiarativa e le discrasie rese sul punto da Masi». Di alcuni episodi il maresciallo parla per la prima volta al processo Mori-Obinu, di altri invece ne racconta al processo sulla trattativa Stato-mafia, a distanza di molti anni.


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