Rifiuti radioattivi, improbabile che arrivino in Sicilia Legambiente: «Eccessivo allarmismo sulla vicenda»

Butera, Petralia Sottana, Trapani e Calatafimi-Segesta. Sono quattro i siti individuati in Sicilia nella Carta nazionale delle aree definite come potenzialmente idonee ad accogliere e conservare per centinaia di anni il Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi. Si tratta solo della prima fase di un progetto redatto sulla base delle normative internazionali che obbligano l’Italia a trovare una soluzione per rifiuti che, oltre a presentare un notevole rischio per persone e ambiente, hanno un tempo molto lungo di decadimento. Nel deposito «saranno sistemati definitivamente e in sicurezza circa 78mila metri cubi di rifiuti radioattivi a molto bassa e bassa attività – spiegano le linee guida del deposito – la cui radioattività decade a valori trascurabili nell’arco di 300 anni. Di questi rifiuti, circa 50mila metri cubi derivano dall’esercizio e dallo smantellamento degli impianti nucleari per la produzione di energia elettrica, circa 28mila metri cubi dagli impianti nucleari di ricerca e dai settori della medicina nucleare e dell’industria. Sul totale di circa 78mila metri cubi, 33mila sono già stati prodotti, mentre i restanti 45mila metri cubi verranno prodotti in futuro». Di questi impianti, censiti nel 2019, solo uno si trova in Sicilia. Si tratta del piccolo reattore costruito a scopo didattico all’università di Palermo, in viale delle Scienze. Che tuttavia negli ultimi tempi non ha prodotto rifiuti.

Da dove provengono i rifiuti che verranno stoccati

In totale i siti in lizza per ospitare il Deposito nazionale sono 67. La Cnapi non specifica l’area individuata in cui bisognerà costruire la struttura, solo il Comune nel cui territorio dovrebbe ricadere. Luoghi con le condizioni tecniche inserite in una speciale graduatoria redatta in base ai criteri imposti dagli organismi internazionali: dalla stabilità geologica, geomorfologia e idraulica alla presenza di barriere naturali, dall’isolamento del deposito alla protezione da agenti atmosferici. E in questa classifica, che divide i siti per colori, i siti siciliani sono in terza fascia, tra quelli, cioè, in possesso di un numero minore di parametri di idoneità. La notizia tuttavia ha scatenato polemiche su vasta scala, che hanno riguardato soprattutto il mondo della politica, dai sindaci dei Comuni interessati ai deputati regionali. Su tutti l’assessore al Territorio e Ambiente Toto Cordaro, che in una nota dichiara: «La Sicilia rispetto a un tema così delicato e complesso come quello dello smaltimento dei rifiuti nucleari e quindi della tutela ambientale, non può accettare l’idea di scelte calate dall’alto. Riteniamo fondamentale, sul tema ambientale ancora più che su altri, un pieno confronto tra governo nazionale, governo regionale e le comunità locali interessate». A gettare acqua sul fuoco, tuttavia, ci pensa Legambiente, con il presidente regionale, Gianfranco Zanna che parla di «eccessivo allarmismo sulla vicenda». 

«Ancora stiamo parlando di un’ipotesi di studio che salutiamo con favore – dice Zanna – perché la aspettiamo da sei anni. Questi rifiuti a bassa e media intensità, al momento, nessuno sa che fine facciano. Consideriamo positivo il fatto che ci sia finalmente un percorso per stoccarli. Inoltre, se guardiamo i quattro siti siciliani è altamente improbabile che su uno di questi ricada la scelta finale, anche se rispondono a certe caratteristiche. I due trapanesi e quello sulle Madonie – continua – sono esclusi a priori, perché ricadono in zone sismiche. L’unico potenzialmente in classifica è quello di Butera». In effetti la prima fase, quella culminata con la redazione della lista, «consiste – per utilizzare le parole del dispositivo ufficiale pubblicato sul sito del Deposito nazionale – in una selezione di aree su scala nazionale effettuata tenendo conto di criteri connessi alle caratteristiche fisiche, chimiche, naturalistiche e antropiche del territorio». Le valutazioni approfondite sui singoli siti avverrà nella fase 2. E in questo senso, tra i criteri di esclusione delle aree individuate ci sono l’attività sismica e l’altitudine, che non dovrà superare i 700 metri sul livello del mare, fattore quest’ultimo che di fatto esclude il sito di Petralia Sottana, come anche quello che ritiene non idonee zone «in cui ricadono parchi nazionali, regionali e interregionali, riserve naturali statali e regionali». Caso che, anche in questo caso, riguarda il centro del Palermitano che si trova nel Parco delle Madonie.

Infine ci sarà la terza fase, con l’analisi tecnica della possibilità dei siti di ospitare una struttura che possa durare senza problemi nel lunghissimo termine. «Facile gridare al lupo al lupo, ma questo è un passo che bisogna fare – prosegue Zanna – Se continuiamo a non fare niente e non affrontare questi problemi, stiamo solo mettendo la polvere sotto al tappeto. Bisogna affrontarli e trovare una soluzione. Leggo di raccolte di firme, di sindaci che dicono che non ne sapevano nulla, ma è giusto così, neanche noi ne sapevamo niente, ma siamo ancora al primo step. E stiamo parlando di rifiuti di origine medica e industriale che si continuano a produrre ogni giorno. Per fortuna – sottolinea – le scorie da centrale sono pochissime e per questo abbiamo proposto come Legambiente che si trovi un sito europeo per lo stoccaggio e che sia ospitato in un Paese che usufruisce di fornitura elettrica che viene dal nucleare. Potrei fare le barricate, ma per essere onesto intellettualmente devo dire che bisogna trovare una soluzione a questo problema anziché fare finta che non esista. Una soluzione che passi per un percorso di spiegazione, di ricerca, di analisi. Tutti noi produciamo questi rifiuti, ma i rifiuti – conclude il presidente di Legambiente – dove li mettiamo?».


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