Renzi a Palazzo Chigi senza passare dal via

QUESTO ARTICOLO E’ TRATTO DA SITO D’INFORMAZIONE “PICCOLE NOTE”. LO PUBBLICHIAMO INTEGRALMENTE PERCHE’ DICE COSE SUL NOSTRO DISGRAZIATO PAESE CHE IN ALTRI GIORNALI NON LEGGERETE

E così si compie il destino manifesto. Renzi è il nuovo Presidente Consiglio italiano. Si sapeva, ne avevamo scritto da tempo: la cacciata dal Parlamento di Berlusconi, conclusione di una guerra durata più di un decennio (tiro incrociato da destra e da sinistra) aveva posto fine all’ultimo tentativo di trovare una riconciliazione nazionale in Italia di una guerra civile iniziata nel ’68 (’78 compromesso storico, primo tentativo in questo senso, concluso con l’omicidio Moro, Tangentopoli – Mafiopoli e altro).

La vittoria delle primarie del PD da parte di Renzi e la contemporanea rinascita di Forza Italia (stesso giorno) era il segnale forte e chiaro che era nata un’altra ipotesi; anzi semplicemente che l’ipotesi di pacificazione era fallita per sempre e aveva vinto una parte, quella alla quale Renzi dà un volto giovane e accattivante di post sessantottino. Una sinistra nuova, di fatto di destra. La sinistra blairiana, quella che ha causato tante rovine in Inghilterra, ma soprattutto nel mondo: guerra in Afghanistan, in Iraq, scontro di civiltà esportato in tutto il mondo.

Da questo punto di vista i legami di Carrai, l’uomo nell’ombra di Renzi, con certa destra americana, quella legata all’apparato militare-industriale che ora punta tutto su Hilary Clinton – altra figura apparentemente di sinistra – non lascia molto tranquilli. Significativo che Moody’s, una delle agenzie di Rating che ha causato il collasso del sistema Italia bombardandola con i suoi declassamenti, all’indomani delle dimissioni di Letta abbia dato la patente di stabilità al nostro Paese.

C’è stata una lunga guerra, un sommovimento che in Italia ha portato alla scomparsa dei partiti storici per far posto ad altro: un partito di destra che rappresenta la ricca borghesia (e non più le classi popolari come la Dc) e un partito di sinistra che non è più di sinistra (il ’68 inverato appunto, rivoluzione hegeliana lanciata contro la rivoluzione marxista).

Allo stesso tempo è collassato l’azionismo, ambito culturale italiano che ha rappresentato una riserva di indipendenza della Repubblica, con un’influenza ben più ampia dei partiti liberale e repubblicano nei quali, in anni lontani, si riconosceva.

Il partito di Renzi, che non è il PD ma tutt’altro, vince e ascende a Palazzo Chigi con una dinamica che esula da ogni formalità – che nelle istituzioni è sostanza – democratica. Qualcosa che ha a che vedere più con la storia delle Repubbliche delle banane sudamericane che con la civiltà occidentale.

Ha preso il 4% per cento dei voti degli italiani alle primarie, meno della percentuale che normalmente incassava la Lega Nord, in un’elezione privata, senza alcun controllo pubblico. È stato indicato al Quirinale come successore di Letta da un centinaio di persone riunite in assise a largo del Nazzareno, ancora un circolo privato; e viene insediato senza che il Governo precedente sia stato sfiduciato in Parlamento.

Letta si è dimesso, come accade per un presidente di azienda. La cosa buffa che a eleggere il successore non è il consiglio di amministrazione della stessa azienda (Parlamento), per restare nella metafora, ma dei privati cittadini. Procedura extra-parlamentare, come extra-parlamentare è stato il ’68.

Strana la vita: una settimana fa tutte le televisioni e le più alte cariche dello Stato avevano accusato di eversione i grillini che avevano inscenato una bagarre in Parlamento. La procedura che porterà Renzi a Palazzo Chigi è tragicamente più eversiva, eppure tutto passa sotto silenzio.

Si è tuonato contro le leggi ad personam di Berlusconi: qui si sta costruendo una nuova Italia al di fuori di ogni legittimità democratica. E questo senza che un qualche giurista o costituzionalista, in genere dalla penna pronta, accenni, magari timidamente, che una Repubblica democratica ha una Costituzione che deve essere rispettata.

Ma non stupisce: quando si perde una guerra, e l’Italia l’ha persa, a volte il vincitore impone la resa senza condizioni. Quindi, nella sua brutalità, è tutto secondo le regole del gioco. E comunque, e nonostante tutto, cadere nel pessimismo, esercizio facile in questa situazione, non aiuta. In spe contra spem.


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