Cronaca

Processo omicidio Agata Scuto, in aula tornano le intercettazioni dei dialoghi e dei monologhi dell’imputato

Sono state le intercettazioni il centro della breve udienza di oggi del processo per l’omicidio di Agata Scuto. La 22enne invalida di Acireale (nel Catanese) di cui si sono perse le tracce la mattina del 4 giugno del 2012 e il cui cadavere non è mai stato ritrovato. L’imputato è Rosario Palermo che, all’epoca dei fatti, era il compagno della madre della vittima. L’uomo è accusato di averla uccisa e di avere occultato il suo corpo. Per l’accusa, il movente starebbe nel fatto che la 22enne sarebbe stata incinta di lui. Una circostanza su cui non ci sono prove ma che si deduce dalla testimonianza della madre Mariella a cui la giovane avrebbe confidato di non avere più il ciclo mestruale e da una frase scritta sul suo diario “Mamma cornuta“.

Per la seconda volta, è stata rimandata la requisitoria del pubblico ministero. Sul banco dei testimoni, chiamato proprio dal pm, è salito Angelo Narciso, il luogotenente dei carabinieri della tenenza di Acireale che si è occupato di ascoltare e redigere una nota sulle intercettazioni telefoniche e ambientali. È lui a identificare le persone che parlano in quelle conversazioni. «Abbiamo risentito quegli audio e attribuendo le diciture “uomo-donna” ai personaggi – dice il luogotenente rispondendo all’unica domanda del pubblico ministero davanti alle telecamere e i microfoni della Rai per la trasmissione Un giorno in pretura – Lo abbiamo fatto per conoscenza personale e perché li avevamo già sentiti diverse volte. Stiamo parlando di poche persone, non c’è stata nessuna difficoltà nell’individuarli». Un chiarimento necessario prima che il pm possa pronunciare la propria richiesta di pena, cosa che potrebbe accadere nel corso della prossima udienza che è stata già fissata.

Gli audio di cui si parla sono i colloqui in auto di Rosario Palermo e le conversazioni con Sonia Sangiorgi e Rita Sciolto. Entrambe imputate per favoreggiamento, insieme anche all’amico Sebastiano Cannavò. La prima è l’attuale compagna dell’imputato, la seconda è la donna con cui Palermo ha avuto una relazione circa 18 anni fa. «Io devo andare da una parte, lontano. Ma se passano i carabinieri, devi dire che me sono andato da poco». Indicazioni che Palermo avrebbe dato a Sangiorgi. «Devo andare a Randazzo al volo – dice l’uomo qualche giorno dopo – l’importante è che arrivo a posare quel coso. Nella terra ce lo metto con le mie stesse mani. Sono stato un cretino, ci dovevo pensare prima ma domani rischio». Rischia perché siamo in piena epoca Covid e quelle in cui dovrebbe muoversi sono zone rosse. Il coso a cui l’imputato fa riferimento sarebbe il tondino di metallo sporco di sangue ritrovato poi dagli inquirenti. «Se ti dovessero chiedere (i carabinieri, ndr) – dice invece alla sua ex – devi dire zona di Catania, Palagonia, Linguaglossa. Ma non dire Siracusa». Nel corso del suo interrogatorio, Palermo – assistito dall’avvocato Marco Tringali – ha ammesso di avere tentato di crearsi un falso alibi e di depistare le indagini ma si è sempre proclamato innocente.

Ci sono due occasioni in cui l’imputato parla da solo mentre si trova in macchina senza sapere che anche all’interno dell’abitacolo dell’auto ci sono delle cimici che registrano. «Abbiamo trovato la ragazza morta strangolata e bruciata in un casolare di Pachino (nel Siracusano, ndr). Ci facciamo l’autopsia. Ma ancora non mi hanno arrestato». Un soliloquio in cui Palermo, all’epoca indagato, interpreta diverse parti e immagina situazioni tra loro contrapposte: la condanna all’ergastolo o la totale assoluzione. «Il giudice ti ha scagionato, ti ha liberato […] Abbiamo trovato il cadavere nel casolare di Pachino. Abbiamo arrestato a Scuto Gianluca (uno dei fratelli della vittima, ndr). Sei libero».

Intanto, oggi in aula lui non c’era e non c’erano nemmeno i familiari di Agata che si sono costituiti parte civile nel processo. L’unico a essere presente, come sempre, è lo zio paterno Daniele Scuto. «Non mi sono mai perso un’udienza – dice a MeridioNews – e continuerò fino alla fine perché voglio arrivare alla verità su questa vicenda. Ho anche perso il lavoro per questo – aggiunge l’uomo che era impiegato nella ditta del fratello come autotrasportatore – Mi fa rabbia che dei parenti non ci sia nessuno e che con me i rapporti non siano più sereni». Quando è stato sentito come testimone, ha raccontato che, circa un mese prima della scomparsa, aveva incontrato la nipote al centro commerciale I ciclopi di Acireale. «Era sera, era da sola, e mi ha detto che Cristian (il fratello di Agata Scuto che aveva presentato e poi ritirato la denuncia di scomparsa, ndr) l’aveva lasciata lì e che aveva paura».

Marta Silvestre

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