Processo infanticidio Elena Del Pozzo, dalla «verità» della madre sul rapimento alla confessione: «Non è più viva»

Per andare avanti nel processo a Martina Patti, la 24enne imputata per avere ucciso la figlia di quattro anni Elena Del Pozzo e per averne occultato il cadavere, oggi si è dovuti tornare indietro di più di un anno. Fino al 13 giugno del 2022. A ricostruire quel giorno, nell’aula Serafino Famà del tribunale di Catania, sono stati gli agenti di polizia che si occuparono della prima fase delle indagini. Una vicenda iniziata come un rapimento di una bambina – che presto si rivelerà inventato – da parte di un commando armato in pieno giorno in una strada di passaggio che collega San Giovanni La Punta a Tremestieri Etneo, nel Catanese. «Una versione, quella fornita dalla madre, che non mi ha convinto dal primo momento, per diversi elementi», dice il maresciallo dei carabinieri della tenenza di Mascalucia che ha raccolto la denuncia presentata dalla donna.

«”L’hanno presa, l’hanno rapita“, urlava nel corridoio della caserma». Dove Martina Patti è arrivata, intorno alle 16, insieme ai genitori. È lì che la 24enne racconta di un gruppo di persone incappucciate e con i guanti che le avrebbero puntato contro una pistola e avrebbero portato via la figlia che si trovava in macchina con lei. «Era in uno stato di choc altalenante – aggiunge il maresciallo – Cambiava atteggiamento, si innervosiva, quando le chiedevamo di portarci sul luogo». Ritrosia che, insieme all’assenza di segnalazioni di passanti e a una strana dinamica, fa dubitare il militare: «Ci ha detto che la bambina era seduta sul sedile posteriore, la sua auto ha solo gli sportelli anteriori e ci sarebbe dunque voluto più tempo per portare via la piccola». Martina Patti avanza anche una spiegazione: «Ci disse: “Chiedete a suo padre il motivo per cui l’hanno presa” – continua il militare – Raccontando come uno dei rapitori le avesse detto chiaramente: “La bambina non la vedi più: gliel’avevamo detto a tuo marito di farsi i fatti suoi“». Il riferimento è ad Alessandro Del Pozzo, padre di Elena, con cui la relazione era finita appena due mesi prima e che in precedenza – dall’ottobre del 2020 al febbraio del 2021 – era stato agli arresti domiciliari perché finito coinvolto in una rapina. Poi assolto, sancendo uno scambio di persona.

Eppure, nel marzo del 2021, nella cassetta della posta della casa in cui i due vivono ancora insieme viene imbucata una busta gialla con dentro un biglietto scritto al computer e indirizzato a Del Pozzo: «Cerca di non fare lo sbirro e comportati bene». Un mese dopo, al padre era stata rubata la macchina. Tutti elementi che fanno ritenere plausibile, almeno in un primo momento, l’ipotesi di una ritorsione nei confronti dell’uomo. Finché a svelare cosa è davvero accaduto arriva la combinazione di tabulati telefonici e analisi delle immagini delle telecamere di videosorveglianza lungo il percorso che la donna ha fatto in auto. «A Martina Patti abbiamo mostrato le immagini e mosso contestazioni sulla sua ricostruzione – riferisce l’inquirente – ma lei ci risposto con una frase che mi è rimasta impressa: “Per me, questa è la mia verità”». Poi la donna si è chiusa nel silenzio fino al momento in cui ha ammesso a suo padre che la bambina non era più viva e ha indicato il terreno in cui andare a cercare il suo corpo semisepolto. In aula vengono proiettate le slide per ricostruire tutti gli spostamenti che la donna – presente in aula e attenta – ha fatto dalla mattina fino al momento del delitto nel primo pomeriggio.

Stando a quanto emerso dalle indagini, la donna avrebbe dormito a casa dei genitori (mentre la bambina a casa dei nonni paterni che l’avrebbero poi anche accompagnata all’asilo). Sono le 8.54 quando Martina Patti torna a casa. Resta qualche minuto e alle 9.04 esce di nuovo in macchina. Si ferma in uno slargo davanti al terreno dove poi verrà ritrovato il cadavere della bambina. Una sosta di un minuto e venti secondi. Per gli inquirenti è questo il momento in cui la donna porta sul posto gli attrezzi (una pala e un piccone) con cui scavare la buca dove seppellirà in parte il corpo senza vita della figlia. Torna a casa e, dopo appena qualche minuto, esce di nuovo. È in tenuta ginnica e, in effetti, dalle immagini pare accennare una leggera corsetta fino ad arrivare di nuovo in quel terreno. Questa volta, ci resta per circa 40 minuti. «Secondo noi – riferisce il capitano – ha scavato la fossa per occultare il cadavere della bambina». Torna nella sua abitazione, si cambia e va all’asilo a prendere Elena che lì le salta al collo e la abbraccia. Poi vanno insieme a casa. «Questo è l’unico tragitto in cui, dalle immagini delle telecamere, emerge la presenza della bambina in auto. Si trova sul sedile anteriore – riferisce l’inquirente – in posizione fetale e sembra essersi appisolata». Alle 13.54 esce di nuovo e si dirige verso casa dei genitori. Non è chiaro se ci sia davvero andata. Sono le 14.37 quando va al terreno. Lì davanti l’auto resta ferma dalle 14.46 alle 15.03. «E questo sarebbe l’arco temporale in cui sarebbe avvenuto l’omicidio della bambina – ricostruisce il comandante della sezione del nucleo investigativo – Nel momento in cui viene pugnalata è dentro dei sacchi di plastica e, infatti, tutto il sangue rimane dentro. Guidando verso casa, la donna tiene il volante solo con due dita, forse per non sporcare. L’espressione del viso è stravolta – conclude – sembra che pianga». A questo punto torna a casa, dopo poco esce di nuovo ed è da qui che parte la messa in scena del rapimento.


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