Dagli arresti domiciliari in seminario all’obbligo di dimora a Ferrara. Così è stata modificata la misura cautelare per il sacerdote 40enne di Enna Giuseppe Rugolo che è imputato nel processo con rito abbreviato con l’accusa di violenza sessuale aggravata a danni di minori. Il prete era stato arrestato proprio nel Comune dell’Emilia Romagna nell’aprile del 2021. Adesso, precisamente l’11 giugno, sarebbero scaduti i termini di custodia per gli arresti domiciliari e, per questo, la procura ha chiesto la modifica con l’obbligo di dimora. Una misura che potrà avere una durata massima di due anni. Dunque, un cambiamento dovuto «al mero trascorrere del tempo» come sottolinea il tribunale di Enna che ricorda che restano ancora presenti le esigenze cautelari per «l’attualità del pericolo sociale».
Dal seminario Rugolo non potrà mai uscire durante le ore serali e dalla città di Ferrara si potrà allontanare solo se autorizzato e per essere presente alle udienze del processo che si sta celebrando a suo carico. Finora, l’ex parroco è stato quasi sempre assente. Dopo la ricostruzione fatta dall’ex capo della squadra mobile di Enna Antonino Ciavola – che si era occupato delle indagini – durante la scorsa udienza durata più di quattro ore, la prossima (già fissata per il 7 luglio) sarà interamente dedicata alla persona offesa e al padre. Quest’ultimo, un poliziotto oggi in pensione, durante una delle scorse udienze, era stato accusato dai legali dell’imputato di abuso d’ufficio per delle registrazioni effettuate. A prendere parola sarà proprio anche il giovane, all’epoca minorenne, dalla cui denuncia è partita tutta l’indagine durante la quale sarebbero emersi anche altri due casi di violenze subite da ragazzi che frequentavano l’associazione giovanile guidata dall’ex parroco.
Intanto, nei mesi scorsi è già stato conferito l’incarico ai periti per la trascrizione delle intercettazioni. Anche quelle di conversazioni tra l’imputato e altri esponenti del clero, compreso il vescovo della diocesi di Piazza Armerina Rosario Gisana. Dialoghi, che sono stati prodotti in fase di indagine, in cui il vescovo ammetterebbe di essere a conoscenza della vicenda. E non solo: stando a quanto denunciato dai genitori della vittima, ci sarebbe anche la discussione in cui «la diocesi ci offrì dei soldi della Caritas in cambio di una clausola di riservatezza e del silenzio di nostro figlio». Il vescovo quando è stato sentito in procura come persona informata sui fatti, invece, ha sostenuto che sarebbero stati i genitori a fare a loro una richiesta di denaro. La diocesi non è stata accolta come parte civile nel processo in cui resta responsabile civile, chiamata a risarcire il danno, insieme alla parrocchia di San Giovanni Battista dove sarebbero avvenute le violenze denunciate.
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