Sul banco degli imputati comandante, terzo ufficiale e timoniere della petroliera che la notte tra il 12 e il 13 maggio del 2020 ha causato l'affondamento dell'imbarcazione e la morte in mare di Vito, Matteo e Giuseppe Lo Iacono
Nuova Iside, iniziato il processo per lo speronamento I familiari delle vittime: «Sicuri che la verità arriverà»
Arriva a processo la vicenda della Nuova Iside, il peschereccio speronato e affondato la notte tra il 12 e il 13 maggio del 2020 nel tratto di mare tra San Vito Lo Capo e Ustica, con la morte di Vito, Matteo e Giuseppe Lo Iacono. Oggi la prima udienza, dopo che lo scorso luglio il gip Alfredo Montalto aveva accettato la richiesta della procura di ricorrere al giudizio immediato, senza passare dunque per un’udienza preliminare per tre membri dell’equipaggio della petroliera Vulcanello, che avrebbe urtato l’imbarcazione: il comandante Gioacchino Costagliola, il terzo ufficiale Giuseppe Caratozzolo e il timoniere Mihai Jorascu. In un altro procedimento sono invece indagati l’armatore e l’ispettore tecnico della nave.
In aula sono arrivate le richieste di costituzione di parte civile dei familiari delle vittime e dei comuni di Cinisi e Terrasini, dove risiedevano stabilmente i membri dell’equipaggio della Nuova Iside. «C’è stanchezza sì, ma c’è anche fiducia nell’operato della giustizia – dice a MeridioNews l’avvocato Paolo Ruffino, legale di alcuni familiari – Parlare di soddisfazione è errato, ma c’è una consapevolezza che tutta l’attività delle famiglie sta dando dei risultati e dei frutti: all’inizio si pensava di chiudere il caso velocemente con condizioni meteo avverse e, invece, poi si è scoperto che le condizioni meteo non c’entravano niente e che al momento del sinistro marittimo erano perfette».
«Sarà l’inizio, ma spero che abbiano giustizia – dice Rosalba Cracchiolo, moglie di Vito Lo Iacono, il comandante della Nuova Iside e madre di Giuseppe – Ci crediamo, le prove sono schiaccianti. Quel tragico 13 maggio sono andata a fare denuncia in capitaneria e mi tranquillizzavano, perché avevano perso i contatti, ma quella notte c’era stato scirocco e vento forte. Gliel’ho detto subito: “Loro non ci sono più, sono stati urtati da qualche nave” e mi prendevano per pazza. Mio marito e mio figlio avevano solo questo timore e purtroppo è accaduto. Non ci sono dubbi sul fatto che si arriverà alla verità – aggiunge la donna – ci sono troppe prove schiaccianti. Non si lasciano tre marinai così in balia del mare, senza dare soccorso. La cosa che non gli perdonerò mai non è lo speronamento, ma la mancanza di soccorso, perché si potevano salvare».
Un processo importante anche dal punto di vista della giurisprudenza. In aula anche un rappresentante del sindacato dei marittimi Cosmar. «Dall’ottima azione investigativa della procura sono emersi non solo i profili tragici della morte sul lavoro – spiega – ma anche quelli collegati all’eventuale omissione di soccorso e mancanza di assistenza ai naufraghi, cosa che ha spinto il sindacato a vedere in questo un caso pilota per questi episodi, perché aprirebbe tutta una serie di riflessioni sulla tutela del lavoro in mare anche a opera degli altri marittimi».