Nuova darsena, procura vuole ritornare indietro Reato di falso dopo 7 anni cade in prescrizione 

Rischia di infrangersi contro il muro della prescrizione e dei tecnicismi giuridici l’inchiesta sulla nuova darsena del porto di Catania. Il reato di falso ha raggiunto il giro di boa e dopo quasi otto anni si è estinto. Mentre le valutazioni sull’eventuale abusivismo edilizio, secondo l’accusa, adesso dovrebbero tornare negli uffici della procura per procedere alla citazione diretta in giudizio degli indagati. Un doppio passaggio, quello discusso oggi in fase di udienza preliminare dal magistrato che ha sostituito il titolare dell’inchiesta, che avrà l’ultima parola nella scelta del giudice Sebastiano Di Giacomo Barbagallo, che potrebbe sciogliere la riserva già nelle prossime ore.

Passati quattro mesi dall’inizio del procedimento tutto rischia di tradursi in un clamoroso rallentamento. L’indagine riguarda la fase di progettazione della nuova darsena commerciale del porto di Catania, inaugurata nel luglio 2015 in pompa magna dal ministro delle infrastrutture Graziano Delrio. Opera costata svariate decine di milioni di euro che però, secondo l’accusa, sarebbe stata realizzata con interventi edilizi illegittimi e con l’alterazione grafica della cartografia del torrente Aquicella. Nell’area sottoposto a vincolo paesaggistico ruspe e operai si sono mossi sulla base di uno studio tecnico in cui non si sarebbe tenuto conto della corretta localizzazione del corso d’acqua e della sua foce.

Sarebbe stato questo il modo con cui, almeno secondo gli inquirenti, si sarebbero ottenuti i pareri necessari per portare avanti i lavori. Secondo gli investigatori fin dall’inizio della costruzione «si sarebbe deviata abusivamente per centinaia di metri la foce del torrente». A doversi difendere sono Riccardo Acernese, ex presidente del consiglio d’amministrazione di Tecnis. Il colosso degli appalti che ha realizzato i lavori, poi caduto in disgrazia dopo le indagini per corruzione della proprietà. Con lui anche il direttore dei lavori dell’autorità portuale Pietro Viviani e tre tecnici romani: Franco Persio Bocchetto, Giuseppe Marfoli e Maria Cristina Pedri.

Nell’attesa di trovare una quadra alla vicenda sono state ammesse le parti civili: nell’elenco sono finiti le associazioni ProLegis, ConsItalia, Federazione siciliana armatori, Codacons e Pescatori marittimi professionali, oltre al comitato porto del Sole. Quest’ultimo grazie a un esposto firmato con altre associazioni, che però non si sono presentate in udienza preliminare, ha dato sostanzialmente l’input decisivo al’inchiesta. A opporsi alla linea della procura di Catania, oltre a Goffredo D’Antona, penalista che cura gli interessi del comitato, c’è stato l’avvocato Francesco Silluzio, che rappresenta i pescatori: «Noi crediamo che non si possa retrocedere questo tipo di processo – spiega a MeridioNews, a margine dell’udienza -. Se c’erano delle eccezioni da sollevare andavano rilevate prima». A confortare la linea della parte civile c’è anche la possibilità, qualora il giudice accolga la richiesta della procura, di un eventuale ricorso davanti la corte di Cassazione.

A gettare ulteriore benzina sul fuoco alla fine del 2015 c’era stato anche il cedimento di una parte della banchina. Un incidente di percorso solo apparente, almeno stando alla versione dell’autorità portuale che attraverso una conferenza stampa aveva sottolineato che non si trattava di un crollo ma di un intervento programmato in vista di un collaudo.


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