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In Sicilia due morti in carcere in 72 ore. Antigone: «È così che lo Stato pensa di risolvere il sovraffollamento?»

«La pena da scontare per i detenuti in carcere dovrebbe essere la perdita della libertà e non anche la perdita della vita». Un’affermazione che può sembrare una ovvietà ma che il presidente di Antigone Sicilia Giorgio Bisagna sente di dovere ribadire dopo le ultime due «morti annunciate avvenute in meno di una settimana in due carceri siciliane». All’Ucciardone di Palermo è deceduto, la sera di sabato 6 luglio, un detenuto «cardiopaticodiabetico e con gravi problemi respiratori»; appena tre giorni dopo, nel carcere di Brucoli ad Augusta (in provincia di Siracusa) è morto un ergastolano che da dicembre era entrato in sciopero della fame e della sete. Per lo stesso motivo, nella stessa casa circondariale, altri due carcerati erano morti a maggio dell’anno scorso. «Mi chiedo – confida Bisagna a MeridioNews – se sia questo il modo in cui si pensa di risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri».

Una domanda che non è solo provocatoria. «Questi ultimi due episodi, seppur diversi tra loro – analizza il presidente di Antigone – testimoniano come il sistema giustizia continui a essere fallimentare». Una cattiva gestione che dipende da una serie di concause a diversi livelli: giuridico, organizzativo, economico e politico. «Non è ammissibile – critica Bisagna – che in carcere e di carcere si debba continuare a morire. Lo Stato non ha solo il dovere morale ma soprattutto quello giuridico di tutelare le esistenze di chi è rinchiuso nelle strutture carcerarie». Ovvero, la responsabilità di impedire la morte delle persone che sono sotto la tutela dello Stato. «E invece – continua – di fronte a una questione che è di natura strutturale, e non solo imputabile alle singole direzioni carcerarie o al personale, si assiste alla chiusura nella burocratizzazione del problema che rende le carceri luoghi inumani. Avere le carte a posto, coincide sempre con l’avere la coscienza a posto?», si chiede Bisagna.

Dall’architettura delle strutture ai disagi logistici legati agli ambienti inadatti e ai servizi scarsi fino alla carenza del personale dell’area educativa e alla mancanza di assistenza psichiatrica. «Circa la metà delle persone detenute nelle carceri siciliane – analizza il presidente di Antigone – soffre di patologie psichiatriche ed è in cura farmacologica in cella». Metadone, psicofarmaci, stabilizzanti dell’umore e antidepressivi. Senza considerare che non esistono dati sulle doppie diagnosi, ovvero su chi a una dipendenza associa anche una malattia psichiatrica. «Come tutta l’assistenza medica – fa notare Bisagna – anche quella psichiatrica, dentro le carceri, è affidata alle aziende sanitarie provinciali». Questo significa che è lo stesso distretto di salute mentale dell’Asp, che copre tutto il territorio delle diverse province, a occuparsi pure delle case circondariali che ricadono in quell’area. «Da tempo – sottolinea – chiediamo che, invece, venga istituito un servizio specifico che si occupi delle situazioni di salute delle persone detenute».

Una delle tante proposte di Antigone per migliorare le condizioni di chi è costretto a vivere rinchiuso e anche per fare in modo che non si pensi più alla morte come unica forma di libertà possibile. «Serve intervenire su più livelli – chiarisce Bisagna – a partire, però, da una rivalutazione di scelte di politica giudiziaria: dalla custodia cautelare che in carcere dovrebbe essere l’estrema ratio, alle misure alternative alla detenzione nelle case circondariali che, invece, restano intrappolate troppo spesso nell’imbuto dei tribunali di sorveglianza tra lentezze e lungaggini burocratiche che macinano le persone».


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