Al carcere di Augusta, dopo i due morti, ci sono altri quattro detenuti in sciopero della fame

«Una situazione critica, più che in altre carceri, dovuta a una serie di concause». È con queste parole che l’avvocato Giorgio Bisagna, da qualche giorno nuovo presidente dell’associazione Antigone – che si occupa di diritti e garanzie nel sistema penale – sintetizza a MeridioNews la visita all’interno della casa di reclusione di Augusta, in provincia di Siracusa. Una struttura enorme che si trova alla periferia della cittadina megarese e che, di recente, è finita sotto i riflettori per la morte di due detenuti per le conseguenze di un lungo sciopero della fame. «Attualmente – sottolinea Bisagna – nel carcere di Augusta ci sono altri quattro detenuti che stanno mettendo in pratica la stessa forma di protesta pacifica». La punta di un iceberg in un contesto in cui su 484 detenuti presenti (a fronte di una capienza regolamentare di 357 posti), 120 soffrono di un disagio psichico o psichiatrico. «Un numero altissimo. In particolare – anticipa al nostro giornale il presidente di Antigone che a breve pubblicherà il report sull’ispezione – settanta soffrono di disturbi della personalità, trenta di alterazioni dell’umore e venti hanno delle psicosi. E questi – aggiunge – sono solo i dati delle persone sottoposte a terapie farmacologiche». A questi si aggiungono altri numerosi detenuti che, solo al bisogno, fanno ricorso a medicine per disturbi del sonno e dell’ansia. Negli ultimi sei mesi, si sono registrati 37 casi di autolesionismo, in otto casi è stato necessario ricorrere a trattamento sanitario obbligatorio (Tso) per detenuti, 74 sono state le aggressioni ai danni del personale e sei quelle che hanno visto i detenuti come vittime.

«Si capisce che non c’è un clima di distensione che abbiamo potuto rilevare altrove ma che, invece, la situazione non è tranquilla – analizza Bisagna che, nel corso della visita, è stato accompagnato dalla collega Roberta Guzzardi – Anche se da parte della direttrice del carcere di Augusta Angela Lantieri e degli agenti di polizia penitenziaria abbiamo ricevuto una certa disponibilità e nessuna reticenza di fronte alle nostre richieste e nell’evidenziare le problematiche. Fatto insolito è che, durante la nostra visita, erano presenti tutte e due le magistrate di sorveglianza di Siracusa, Monica Marchionni e Alessandra Gigli». Una presenza che è stata una prima volta assoluta per il presidente di Antigone che pure, anche per via del suo lavoro di avvocato, di carceri ne ha visitate negli anni. Ispezioni che servono per realizzare un report (con una scheda precisa di quaranta pagine) che fotografi la situazione all’interno delle mura delle condizioni carcerarie dei detenuti e anche materiali: dall’ora d’aria alla situazione delle celle fino alle attività svolte. Nelle cinque ore di visita nella casa di reclusione di Augusta i dati appuntati da Antigone sono molti. «Abbiamo registrato celle in condizioni di insalubrità con muffa e deterioramenti vari, senza riscaldamenti, senza acqua calda e in qualche caso anche con interruzioni di acqua corrente. Un’intera ala – elenca Bisagna – inoltre è in disuso perché inagibile così come alcuni spazi all’aperto. Insomma una struttura fatiscente e non assolutamente idonea». A peggiorare la situazione c’è poi il sovrappopolamento ma anche la scarsità di personale di polizia penitenziaria (dei 251 agenti previsti, effettivi sono solo 182 e di questi 19 in malattia) e di educatori (solo sette per i detenuti, tutti uomini e tutti con condanne definitive) e l’assoluta mancanza di mediatori culturali e linguistici del ministero. Un’assenza a cui (per i 41 detenuti stranieri presenti al momento) provano a supplire i volontari di diverse associazioni.

Nella struttura c’è una palestra piuttosto dignitosa a cui, però, non tutti i detenuti possono avere accesso perché dipende non solo dai turni ma anche da criteri di merito. I carcerati ad Augusta – che vanno da quelli comuni a quelli in regime di alta sicurezza – inoltre, hanno la possibilità di frequentare le scuole (dalle primarie alle superiori) e anche l’università. «I più gettonati sono i corsi degli istituti professionali – spiega Bisagna – Ma non a tutti è concesso di accedere ai locali di studio, come la biblioteca. Al momento, inoltre, mancano completamente anche lavori in house che altrove, invece, hanno dato vita a progetti imprenditoriali importanti». Come, per esempio, Dolci evasioni della cooperativa sociale l’Arcolaio nel carcere di Cavadonna a Siracusa o Cotti in fragranza nel carcere Malaspina di Palermo. Dentro le mura, c’è la possibilità di cantare in un coro polifonico e anche di partecipare alla messa, anche se non ogni domenica perché viene celebrata a giro nelle diverse sezioni. Nulla per gli altri culti per cui non sarebbe arrivata nessuna richiesta formale. «Il nostro all’interno delle carceri è un lavoro di osservatorio – chiarisce il presidente di Antigone – I report sono importanti perché restituiscono un quadro completo e complesso della vita all’interno delle mura». E, in molti casi, diventano strumenti per gli addetti ai lavori: studiosi, giuristi, assistenti sociali, educati, enti del terzo settore e anche istituzioni titolate poi a trovare soluzioni alla criticità emerse. «Quella più grave riguarda i suicidi all’interno delle carceri che in Sicilia – analizza Bisagna – negli ultimi anni sono aumentati. La cosa grave è che si tratta di persone che dovrebbero essere sotto la custodia dello Stato».

Gli ultimi due casi di morte – su cui la procura di Siracusa ha aperto un’inchiesta – hanno riguardato i detenuti deceduti dopo un lungo periodo di sciopero della fame per protesta all’interno del carcere di Augusta. Liborio Davide Zerba aveva 45 anni, era di Gela (in provincia di Caltanissetta) e stava protestando perché sosteneva di essere in carcere per errore. Una pena che avrebbe dovuto scontare fino al 2029. È morto in ospedale la notte tra il 25 e il 26 aprile dopo 46 giorni senza cibo. Sono stati 59 per il cittadino russo Victor Pereshchako deceduto il 9 maggio. Dal 2018 chiedeva di potere scontare la propria pena nel suo Paese. «E questo è lo stesso motivo per cui sta continuando a protestare – spiega Bisagna – uno dei quattro detenuti in sciopero della fame: perché vorrebbe essere trasferito in un carcere più vicino a casa per potere ricevere con più facilità la visita dei propri familiari». Un diritto di ogni detenuto in un carcere che dovrebbe avere di mira non solo l’aspetto repressivo ma anche quello rieducativo. «Dalla direzione carceraria – conclude il presidente di Antigone – ci sono sembrati preoccupati soprattutto perché per tutta questa serie di criticità rilevate non si vede luce in fondo al tunnel. Almeno al momento, infatti, dal Dap (il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, ndr) non ci sono iniziative per porvi rimedio, per esempio trasferendo i detenuti in eccesso, aumentando l’organico e anche creando momenti aggreganti».


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