Matteo Renzi come Topo Gigio Scene da un comizio-incontro american style

Arriva con quarantacinque minuti di ritardo (11.15 anziché 10.30) Matteo Renzi al Palaolimpico di Torino per iniziare la tappa della sua campagna per le primarie del Partito democratico, ma i suoi sostenitori non se ne accorgono neanche, tanto sono eccitati per la presenza del loro giovane messia politico. Sono in più di quattromila (il comitato elettorale di Renzi se ne aspettava cinquemila ma sono stati comunque molto contenti del risultato numerico) a gremire il palazzetto dello sport del capoluogo piemontese e si comportano con il sindaco di Firenze come ci si comporta quando si incontra una rock star: baci, abbracci, urla, flash, foto ed autografi.

Si vede immediatamente dal design del comizio (pardon, non si dice più comizio ma incontro, e non se ne capisce il perché) che a Matteo Renzi piace molto il tradizionale american style nell’organizzazione della sua campagna elettorale per le primarie del Pd. Si presenta sul palco in maniche di camicia come Barak Obama: musica rock a tutto volume, megaschermo, tazze e botton clips con il suo nome sopra e palloncini colorati. Mancano solo i cappellini di paglia stile Buster Keaton per sentirsi più a Detroit che a Torino.

Per quanto riguarda il contenuto del suo comizio pardon incontro poco di nuovo e poco da scoprire. Si difende con ironia dagli attacchi di eccessiva vicinanza con imprenditori che hanno basi nei paradisi fiscali («Scusate il ritardo ma sono di ritorno dalle isole Cayman da dove ho prelevato i miei ultimi fondi») e attacca con veemenza il segretario del Pd Pier Luigi Bersani per aver cambiato, secondo la sua opinione, le regole delle primarie per non permettergli di vincerle («Hanno cambiato le regole perché hanno paura di perdere»). Per il resto poca sostanza e molta retorica in classico stile elettorale a stelle e strisce.

Ma ad essere interessante nel comizio pardon incontro di Matteo Renzi è stata più la forma che il contenuto, più l’apparire che l’essere e più quello che è avvenuto intorno al palco che sul palco. Ci tiene, il sindaco di Firenze, a far in modo che la gente noti i particolari piccoli o grandi di cui si compone lui e il suoi messaggi: camicia bianca (con maniche svoltate sino ai gomiti), cravatta blu (forse un po’ troppo lunga), pantaloni beige (no denim) e scarpe marroni (forse un po’ troppo consunte). Inoltre, sul palco oltre all’ultra-tecnologico megaschermo, ci sono i palloncini color rosso e azzurro per i bambini e la scritta tridimensionale fatta con gigantiche lettere di polistirolo anch’essa di colore rosso e azzurro (e scioccamente mi viene da pensare se Matteo
non sia più tifoso del Catania che della Fiorentina) che recita il copyright della sua campagna elettorale: «Matteo Renzi. Adesso!». Tutto appare fintamente casual, tutto sembra urlare «guardate come non c’e differenza tra me e voi». Ma il sospetto, il retrogusto che resta è che tutto sia fatto per deviare l’attenzione dal contenuto alla forma e che il complesso sia solo uno specchietto per le allodole dove le allodole siamo noi.

A giudicare dall’incontro di ieri, l’idea venduta tramite i mezzi di comunicazione che la campagna elettorale di Renzi sia fatta solo con un camper e con le donazioni via internet degli elettori risponde a tutt’altro che alla realtà. La macchina elettorale del sindaco di Firenze è una macchina da guerra molto ben oliata come quella dei vecchi della politica che Renzi con tanta energia vuole mandare dallo sfasciacarrozze. Alla fine della mattinata (alle 13.45 dopo la registrazione del programma In mezz’ora di Lucia Annunziata avvenuta sul palco) dopo il comizio pardon incontro ho visto entrare insieme a Renzi dentro il suo camper almeno sei fidati collaboratori. Inoltre accanto al palco dove mi trovavo ho sentito più di un componente del suo staff lamentarsi, in perfetto toscano, del fatto che sul camper non c’era posto per tutti. Più fotografi, operatori e addetti stampa. Se non si è dei completi ingenui appare ovvio che Renzi abbia donatori (in America direbbero lobbisti senza nessun finto timore) economicamente molto più influenti di quelli che donano cinque euro sul suo sito internet per la benzina del camper.

Al Palaolimpico a seguire i discorsi di Renzi (e non i ragionamenti) ci sono le persone che assomigliano a lui. Quarantenni, finti casual che spendono troppi soldi per cercare di non apparire economicamente più che agiati anche in tempi di crisi. Ex ragazzi o ragazzi invecchiati che magari facevano politica a scuola negli anni ottanta e che hanno finito di farlo insieme alla fine della prima Repubblica («Era dalla fine degli anni ottanta che non mi sentivo così trascinata», dice una bella donna mal celatamente sovrappeso e appena uscita dal parrucchiere che siede vicino a me). Probabilmente l’unico a sembrare fuoriposto oggi ero proprio io, tanto che lo stesso Renzi incrociandomi sulla via del palco mi saluta cordialmente con un frettoloso «ciao ciao» salvo poi fermarsi leggermente per squadrarmi con la coda dell’occhio quasi a domandarsi «ma chi è questo?». I grandi assenti di ieri al palazzetto dello sport di Torino sono stati gli operai (nella città della Fiat) e gli adolescenti (i sedici, diciassettenni che Renzi vorrebbe che votassero alle primarie) eccetto qualcuno sporadico che accompagnava per mano i propri genitori.

La realtà è che nella politica Renzi si muove bene orizzontalmente pescando sostenitori sia a destra che a sinistra sui due lati dello schieramento (il suo spin doctor è Giorgio Gori, uno che di curve e picchi dello share se ne intende) ma si muove male verticalmente nella società dimenticandosi dei lavoratori delle fabbriche, dei pensionati (altra fascia assente ieri) e dei giovani che probabilmente vengono meglio intercettati dalla cyber politica di Beppe Grillo. Renzi punta tutto sulla piccola e media borghesia, sui piccoli imprenditori e fa bene a farlo perché essi rappresentano lo scheletro del popolo delle urne. Ma come si è detto disinteressandosi degli estremi (operai, giovanissimi e poteri forti) difficilmente vincerà la sua battaglia (almeno per questa volta).

Personalmente mi è risultato anche simpatico. Con la sua faccia pulita, i suoi nei (o forse acne adolescenziale), la sua frangetta e i suoi denti bianchi leggermente sporgenti mi ha fatto pensare che se avesse indossato una salopette sarebbe stato esattamente come Topo Gigio. E Topo Gigio (da oggi non riesco più a pensare questo nome senza sentirlo pronunciato nella mia mente in dialetto fiorentino, con la g leggermente aspirata) come si sa piace a tutti, ma si fa fatica a prenderlo sul serio.


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Passa da Torino la campagna di Matteo Renzi per le primarie del Partito democratico. Un evento organizzato imitando le convention statunitensi, nel quale è la forma a prendere il sopravvento sulla sostanza. E al Palaolimpico, a seguire i suoi discorsi (e non i ragionamenti) ci sono solo le persone che assomigliano al sindaco di Firenze. Un personaggio simpatico - e credibile - come Topo Gigio

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