Sebastiano D'Emanuele è morto il 24 maggio 2016, dopo essere stato coinvolto nel processo Orione. I familiari anche quest'anno hanno deciso di commemorare la scomparsa sulle pagine de La Sicilia. Sulla pubblicazione degli annunci funebri c'è un filone all'interno del processo a carico dell'editore Mario Ciancio Sanfilippo
Mafia, sul giornale necrologio a cugino di Santapaola Dal cadavere conteso alla condanna per un omicidio
«Il tempo passa ma tu sei, e sarai, sempre accanto a noi», firmato «i tuoi cari». Un necrologio apparentemente come tanti, pubblicato a pagina 45 del giornale La Sicilia. Insieme al testo la foto di un uomo sorridente in giacca, cravatta e una rosa rossa infilata nell’occhiello. Il lui in questione è Sebastiano D’Emanuele, cugino di Nitto Santapaola – patriarca di Cosa nostra a Catania – e fratello del boss detenuto Natale. I parenti hanno deciso di celebrare l’anniversario della morte, avvenuta a Siracusa il 24 maggio 2016, attraverso lo spazio riservato agli annunci funebri che contraddistingue il quotidiano cartaceo. Nel messaggio anche l’indicazione di una messa in suffragio, celebrata all’interno della chiesa San Luigi del viale Mario Rapisardi di Catania. D’Emanuele, che tra i fratelli annovera anche Antonino, è stato uno dei volti storici delle onoranze funebri alle pendici dell’Etna. Una sorta di monopolio con una storia a tinte fosche, fatta di accuse di mafia e una condanna all’ergastolo per l’implicazione nell’omicidio di Agatino Diolosà.
È la fine del 1997, quando Diolosà, imprenditore originario di Adrano, viene ucciso con otto colpi di pistola in via Brunelleschi, a pochi metri dall’agenzia mortuaria che gestiva insieme al fratello. L’uomo, con alla spalle una denuncia per mafia, stando alla ricostruzione dei magistrati, avrebbe pagato a caro prezzo la scelta di allargare i propri orizzonti commerciale anche nel capoluogo etneo, in particolare con una filiale lungo viale Mario Rapisardi. Alla richiesta d’assoluzione della procura, per insufficienza di prove, segue la decisione della corte che condanna Sebastiano D’Emanuele, assolvendolo però dall’accusa di mafia. Il suo nome è legato anche a un aneddoto del passato, risalente al 1974. Quando al centro di un violento litigio con un concorrente del settore finì il cadavere di un paziente ricoverato all’ospedale Garibaldi.
Il necrologio pubblicato due giorni fa è il terzo commissionato dai parenti di D’Emanuele in altrettanti anni. Il primo, nel 2016, ne annunciava la morte ma senza fotografia. Lo scorso anno, per il primo anniversario, la stessa istantanea del 2018, l’annuncio di una funzione religiosa nella chiesa di San Luigi e un messaggio più articolato: «Ci sei e ci sarai sempre accanto a noi. Sei stato e sarai sempre il nostro tutto. Con tutto il nostro amore, i tuoi cari». Il primo episodio è stato citato anche nel filone dedicato ai necrologi all’interno del processo a carico di Mario Ciancio Sanfilippo. Padrone dell’informazione siciliana, editore e direttore del quotidiano La Sicilia. Poi mandato a processo con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa.
Una presunta disparità di trattamento nella pubblicazione dei necrologi, stando alla tesi portata avanti dalla procura di Catania, rispetto a quanto avvenuto per il caso del commissario Beppe Montana, ucciso da Cosa nostra nel 1985. La vicenda è finita agli atti del processo Ciancio per la presunta censura, voluta dall’editore attraverso un veto alla divulgazione di un annuncio mortuario della famiglia sulle pagine de La Sicilia. Motivo per il quale i fratelli del poliziotto hanno chiesto e ottenuto la costituzione come parti civili nei confronti di Ciancio. Un rifiuto «ingiustificato e ingiustificabile», secondo i familiari.
Il 31 luglio 2012 a trovare spazio tra i necrologi del giornale è invece il capomafia Pippo Ercolano, cognato di Nitto Santapaola e cugino dei D’Emanuele. L’azienda di questi ultimi è quella che si occupa dei funerali celebrati a Ognina. La morte viene annunciata dalla moglie Grazia Santapaola, sorella del capo di Cosa nostra, e dai figli. Tra loro anche Enzo e Aldo. Il primo in carcere dal 2015 perché accusato di avere preso in eredità la gestione del padre e del fratello, il secondo catturato nel 1994 e condannato all’ergastolo per essere il mandante dell’omicidio del giornalista Pippo Fava.