Lo Stato ricatta la Sicilia?

Tornerà a riunirsi, nei prossimi giorni a Roma, il tavolo tecnico Stato-Regione per l’attuazione dello Statuto siciliano nell’ambito della discussione sui decreti attuativi del federalismo fiscale. Come si ricorderà, la Regione siciliana, in seguito alla protesta del Movimento dei Forconi, ha istituito una Commissione consultiva, di cui fa parte (a titolo gratuito) uno dei massimi esperti in tema di Autonomia siciliana: il professor Massimo Costa. La Commissione si è riunita per la prima volta il 30 aprile e, in questa occasione, il prof. Costa ha già presentato delle proposte in merito. Vi abbiamo raccontato, ad esempio , della proposta in merito alle funzioni del Commissario dello Stato, mentre qui è possibile leggerle tutte.

Adesso l’attenzione della Commissione siciliana si sposta su altri due punti fondamentali: le competenze legislative ed amministrative e il regime delle entrate correnti della Regione siciliana, che nel documento del professor Costa sono il decreto 3 e 4. Ma prima di leggere il contenuto di queste due proposte, è il caso di chiedersi che aria tira a Roma. Qual è l’atteggiamento che lo Stato italiano sta tenendo nei confronti della Sicilia? La domanda è, purtroppo, retorica. Finora, infatti, è esattamente lo stesso atteggiamento che ha tenuto negli ultimi 60 anni. Ovvero: si può parlare di competenze da attribuire alla Regione, ma sulle entrate che spetterebbero alla Sicilia, si fanno orecchie da mercanti. Ma c’è di più. Si sfiora il paradosso. Una delle proposte dello Stato vorrebbe ‘accollare’ alle casse regionali le pensioni di invalidità. Senza però la previsione di scorporo, di istituti di previdenza siciliani da quelli nazionali, senza il passaggio della proprietà degli immobili, e ovviamente senza il versamento di tutti i contributi versati dai siciliani. Ma a che gioco giochiamo? La proposta somiglia ad un ricatto: continuate a fare richieste e noi vi ammolliamo costi. Veniamo ora alle due proposte del Professor Costa che saranno esaminate dalla Commissione prima di andare a Roma, augurandoci che la Regione non le stravolga, abbia il coraggio di andare fino in fondo, o quantomeno non non firmi nulla che possa precludere l’attuazione integrale dello Statuto.

Decreto III (Devoluzione di competenze legislative ed amministrative e Regime delle spese correnti della Regione siciliana) (Qui il testo) Ce lo spiega il Professor Costa:

L’impianto dello Statuto siciliano lega le spese a carico della Regione alle funzioni amministrative da questa svolte ai sensi del proprio art. 20. A sua volta questo lega le funzioni amministrative alle materie sulle quali lo Statuto attribuisce alla Regione competenza legislativa concorrente o esclusiva. Si comprende come sia necessario un decreto attuativo sulla materia delicatissima delle spese regionali, e come questo debba legarsi inevitabilmente a quello delle relative funzioni devolute dallo Stato. In primo luogo, vista la formulazione a tratti “antiquata” del dettato statutario del 1946 e la combinazione, non sempre chiara, di questo con i dettati costituzionale ed europeo, si rende necessaria un’interpretazione autentica in cui i differenti campi di legislazione siano distinti in maniera efficace, garantendo anche una adeguata “certezza del diritto” in materia.

In secondo luogo non si può dilazionare ancora il passaggio di funzioni e personale dallo Stato alla Regione. Lo spirito dello Statuto era chiaramente quello di una devoluzione integrale di funzioni, seppure nelle due forme di “autarchia”, laddove c’era competenza regionale, e “gerarchia”, per mezzo del Presidente-Ministro, laddove la competenza restava statale, e tale spirito va mantenuto e finalmente attuato.

È importante sottolineare come, grazie a questo decreto, la Regione si faccia carico praticamente di tutte le spese pubbliche sostenute in Sicilia, ivi comprese le perequazioni e i trasferimenti a favore degli enti locali. Ma è anche importante ribadire che questa devoluzione di spese e funzioni può e deve certamente riguardare la parte corrente delle spese, ma non anche quella in conto capitale, per la quale è indispensabile mantenere l’impianto di una perequazione infrastrutturale obbligatoria. La “perequazione di parte corrente” non va certo esclusa a priori, viste le condizioni drammatiche dell’economia siciliana, ma non va neanche rivendicata. Dev’essere lo Stato ad avvertire la necessità di essere presente in Sicilia. Questa deve dimostrare di essere finanziariamente responsabile ed autosufficiente, sia pure con le dovute gradualità“.

Decreto IV (Regime delle entrate correnti della Regione siciliana)Oggetto:

Il decreto dispone la totale spettanza delle entrate riscosse e maturate in Sicilia, salve le eccezioni espresse, a favore della Regione (qui il testo). Ce lo spiega il Prof Costa

“Il presente decreto costituisce il naturale complemento del precedente. Poiché tutte o quasi le spese correnti sono trasferite alla Regione ed agli enti da questa vigilati, così pure tutte o quasi le entrate che maturano nel territorio siciliano devono restare nel territorio che le ha prodotte. La solidarietà nazionale su entrate e spese correnti non può certo essere invocata dal territorio più povero (la Sicilia) a favore del più ricco (il resto del Paese) ma, eventualmente, solo in senso inverso. Nel decreto si recupera integralmente lo spirito dell’art. 36 che dava vita ad un sistema tributario autonomo per la Sicilia in cui la Regione “delibera autonomamente” i propri tributi e questo diventa il metodo ordinario di finanziamento delle proprie spese. Le entrate riservate allo Stato, tassativamente elencate, sono destinate a finanziare le funzioni statali, ma, poiché ai sensi dell’art. 20 dello Statuto, la quasi totalità delle spese statali è devoluto alla Regione e poiché, ai sensi dell’art. 119 della Costituzione, lo Stato garantisce compartecipazioni agli enti locali ed alle regioni in modo che possano farsi carico delle funzioni loro attribuite, la “residualità” delle funzioni in capo allo Stato (difesa e poco altro, vedasi sopra) impone una determinazione altrettanto residuale delle risorse estratte dalla Sicilia ed attribuite allo Stato. Per il resto la Sicilia deve essere in grado di gestire le proprie entrate in maniera pienamente autonoma, potendo peraltro attivare una sana fiscalità di vantaggio, la quale non sarebbe neanche “aiuto di stato” in quanto autonomamente deliberata dalla Regione e sopportata dalla comunità siciliana in termini di eventuali minori entrate per la Regione stessa. L’attribuzione alla Sicilia della potestà di tassare in maniera autonoma redditi ed altre fattispecie tributarie maturate nel suo territorio, oltre a rispondere ad una finalità intrinseca di razionalizzazione della norma e di ostacolo a distorsioni tributarie pesanti che verrebbero a trovarsi tra soggetti in base alla loro diversa residenza (ciò che invece sarebbe una discriminazione territoriale incompatibile con il diritto europeo) risolve alla radice il contenzioso relativo all’art. 37 rendendolo inglobato e quindi addirittura sopravanzato dalla soluzione più completa che qui viene individuata. Del resto, se – si ponga – la Sicilia pone una determinata aliquota marginale sul reddito delle persone fisiche o una determinata aliquota proporzionale sul reddito delle società, come mai potrebbero essere tassate ad aliquote diverse due società, l’una avente sede in Sicilia e l’altra fuori, che operano nello stesso territorio? Come accade, dunque, con i paesi esteri, l’Italia regolerebbe i rapporti con la Sicilia, avendo di fronte a sé un impianto statutario che concede una eccezionale autonomia impositiva, cui peraltro corrisponde una più gravosa responsabilità sul fronte delle spese, come si è visto al decreto precedente”.

 


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